Nelle grandi trasformazioni urbane che interrogano il futuro delle città, assumono un ruolo determinante, nella capacità di interpretarle e trasformarle, le comunità e i luoghi identitari del patrimonio culturale. La costituzione di “Heritage Community”, promossa dalla Convenzione di Faro, è in tal senso centrale nelle nuove politiche urbane in cui il patrimonio culturale diventa un catalizzatore di nuovi processi di rigenerazione urbana e innovazione sociale. Il patrimonio culturale si rivela, infatti, una risorsa condivisa in grado di rafforzare una comune identità e di influenzare in modo positivo la qualità della vita delle persone. In particolare, nel panorama dei luoghi abbandonati, le chiese rappresentano una rete di beni capillarmente diffusa a livello internazionale e, in Italia, l’infrastruttura territoriale più ricorrente, in cui valori artistici, simbolici e culturali saldano fortemente le comunità ai luoghi.
Complice anche la mancanza di risorse pubbliche, sempre più frequentemente le amministrazioni locali sostengono processi di riuso di beni in dismissione per sperimentare nuove esperienze culturali e di coesione sociale, nuove forme di imprese culturali e di cittadinanza attiva, oltre che modelli di governance condivisa con realtà profit/non-profit locali. A tal fine, il riuso adattivo si configura come una potente strategia per gestire il cambiamento di stato dell’edificio attraverso un più ampio processo di rigenerazione sociale e di sostenibilità urbana, in tempi rapidi e con costi ridotti.
In questa cornice, si inserisce la sperimentazione SSMOLL, il riuso adattivo dell’ex chiesa “dei Morticelli”, nel centro storico di Salerno, portata avanti da Blam nell’ambito dell’Accordo Quadro tra il Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II, con responsabile scientifica la prof. Maria Cerreta, e il Comune di Salerno. Sita in Largo Plebiscito, alle spalle della Cattedrale, l’ex chiesa del 1530 era in disuso dal terremoto degli anni ’80, sconsacrata e oggi di proprietà comunale.
Declinando gli approcci del living lab alle esigenze del contesto, è stato strutturato un processo collaborativo caratterizzato da due parti principali. La prima parte del processo ha innescato un percorso di riattivazione sperimentale per monitorare, in tempo reale, possibili riusi. Adottando la struttura dell’urban living lab per disegnare la co-governance del processo, una prima fase di co-esplorazione è stata funzionale per attrarre la comunità al bene in dismissione e conoscere il territorio attraverso il loro agire. Osservazione diretta, analisi di media e social media, interviste, questionari e participatory mapping, così come urban games, sono state alcune delle tecniche che hanno consentito di ri-conoscere il territorio insieme agli abitanti. La successiva fase di co-design ha consentito di costruire scenari condivisi sperimentando nello spazio attività di natura culturale co-progettate con abitanti e professionisti. A partire dalle esigenze e dalle criticità emerse dalla prima fase, focus group, workshop e planning for real sono state messe in campo per sperimentare, nel primo anno di attività, oltre 40 iniziative suddivise per cluster tematici in cui la cultura diventa strumento di cura per le comunità coinvolte: workshop e laboratori formativi, concerti, spettacoli teatrali, reading, performance artistiche site-specific, installazioni artistiche, assemblee e incontri pubblici. Una co-valutazione costante delle esperienze ha consentito di condividere con i professionisti e gli stessi partecipanti, di età compresa tra i 6 e i 78 anni, quali fossero più o meno adatte nello spazio, ad esempio in termini di disponibilità a pagare degli utenti, adattabilità dell’iniziativa al bene o soddisfacimento dell’esperienza. Le performance site-specific sono quelle risultate maggiormente attrattive, in quanto l’alto tasso di partecipazione è supportato anche da una disponibilità a donare e a pagare medio-alta per il contesto di riferimento, mentre l’utenza con maggiore tasso di partecipazione è compresa nella fascia d’età dei 28-48 anni.
A partire dall’esperienza appresa sul campo, la seconda parte del processo, tuttora in corso, indaga la sostenibilità economica dello spazio e la capacità generativa in termini di impatti positivi sul territorio. Nella cornice della progettualità Salerno Punto Com, vincitrice del bando nazionale “Fermenti in Comune” promosso da Anci e sostenuto dal Dipartimento per le Politiche Giovanili del Consiglio dei Ministri, l’obiettivo è esplorare maggiormente le dimensioni sociali e culturali emerse come fortemente interconnesse nell’ex edificio religioso, in modo continuativo nel tempo, configurando lo spazio come un Punto di Comunità, un luogo in cui favorire il protagonismo degli under-35, promuovere un nuovo welfare e moltiplicare le esperienze formative, artistiche e culturali nel quartiere. In particolare, la nuova configurazione ibrida dello spazio prevede una commistione di servizi sociali di prossimità totalmente gratuiti e di attività esperienziali a pagamento mediante prezzi calmierati per le fasce sociali più fragili. Tre sono i campi di azione: hub culturale con attività artistiche, culturali e formative in una dimensione relazionale e collaborativa; attività di portierato sociale per offrire servizi di prossimità; foyer culturale, ovvero piccolo punto ristoro a sostegno delle esperienze attive nello spazio inteso come luogo d’incontro tra produttori locali, comunità residenti e temporanee.
Ad oggi, l’esperienza dei “Morticelli” ha palesato in primis la dimensione del “possibile”, in un complesso equilibrio tra ricerca e azione, politiche urbane ed esigenze degli abitanti, economie aride e progettualità generative. Al di là degli output di progetto, delle reti pubblico-private tessute, delle progettualità innescate, così come di abitanti e professionisti coinvolti su scala locale, nazionale e internazionale, molto resta ancora da esplorare in termini di evoluzione trasformativa e misurazione degli impatti effettivi. Se da una parte i processi di innovazione sociale hanno contribuito alla ridefinizione di servizi sociali e culturali in città, la capacità trasformativa, in termini di spinta sulle politiche locali, è ancora da potenziare affinché possa riconoscersi come modello replicabile nel contesto urbano. D’altronde, per la misurazione degli impatti risulta necessaria una strategia di lungo termine, e in tal senso una condivisa prospettiva con l’amministrazione pubblica potrebbe far leva sull’esperienza prodotta per costituire prototipi di collaborazione virtuosa tra pubblico e privato generando esperienze del terzo settore in grado di essere competitive sul mercato.
Ulteriori approfondimenti
- Cerreta M., Elefante A., La Rocca L. (2020), A creative living lab for the adaptive reuse of the Morticelli Church: The SSMOLL project. Sustainability, 12, 24: 10561. https://www.mdpi.com/2071-1050/12/24/10561
- Grossi E., Blessi G.T., Sacco P. L., Buscema M. (2012), The interaction between culture, health and psychological well-being: Data mining from the Italian culture and well-being project. Journal Happiness Studies., 13, 1: 129-148.
- Bullen P.A., Love P.E.D. (2011), Adaptive reuse of heritage buildings. Structural survey, 29, Emerald Group Publishing Limited. 411–421.