Fino al secolo scorso all’economia di prossimità rispondeva una costante crescita della sua antitesi, ovvero una economia di mobilità, organizzata in base a sofisticati sistemi di mobilità, alla delocalizzazione delle attività industriali e commerciali principalmente in aree a basso costo, alla dicotomia tra centri e periferie. Ai numerosi quartieri residenziali a basso e medio reddito si sono contrapposti centri ricchi di servizi, di investimenti immobiliari, di core urbani in cui la rendita è stata capace di avvalorare i trend di polarizzazione economici che caratterizzano le economie dei Paesi avanzati. Gli effetti dicotomici di tale fenomeno sono oggi visibili sia nei quartieri che nella composizione delle nostre società fatta di vincitori e vinti, innovativi e obsoleti, competenti e fragili.
Tra la crisi delle filiere internazionali derivanti dalla crisi pandemica da Covid-19 e gli attuali scenari di crisi energeticaderivanti dal conflitto russo-ucraino si intensifica oggi la necessità di ripensare l’economia urbana in una rinnovata visione rispetto all’impatto che può avere a partire dal locale. Per far fronte con ottimismo alla frammentazione dei sistemi economici a cui andiamo incontro sarà necessario dotare le città di diversificate funzioni capaci di decentralizzare e “localizzare” sia i settori produttivi che i servizi a imprese e persone, grazie al superamento di vincoli di scala derivanti dagli strumenti di innovazione tecnologica e sociale.
Un nuovo paradigma fatto di politiche urbane, di luoghi dedicati, di strategie di riuso e rigenerazione indirizzati a obiettivi di innovazione sociale basato su relazioni di prossimità. Un’innovazione dei servizi tradizionali che “si nutre” sempre di più di fattori che fanno delle città dei milieux: individui con competenze derivanti dall’ibridazione di approcci creativi e imprenditoriali, presenza di ecosistemi fatti di organizzazioni imprenditoriali collaborative, istituzioni e politiche capaci di disegnare più ampi processi di innovazione sociale. Ossia in grado di mettere a fattor comune questi aspetti in una logica di rendere le città contesti capaci di sperimentare in modo resiliente le risposte a possibili nuovi shock esogeni (o alle grandi sfide sociali che già stiamo affrontando).
Come sostenuto da Cristina Tajani i vantaggi economici e sociali dell’innovazione tecnologica (del reinsediamento manifatturiero nel caso specifico) nelle aree urbane sono legati a doppio filo con agende di policy urbana per l’innovazione in campo professionale, culturale ed educativo. Tutto ciò può accadere soltanto se, nella stessa logica, siano presenti quelli che possiamo definire come Spazi Piattaforma, ossia hub di innovazione altamente accessibili che diventino il viatico per relazioni e politiche attivati nella collaborazione tra attori portatori di competenze diverse, orientati allo sviluppo di ambienti creativi predisposti alla sperimentazione e all’innovazione sociale. Al netto di specifici esempi ed esperienze riportate negli articoli del numero, la discussione che mi fa piacere sollecitare in questo contesto riguarda le metodologie capaci di supportare un nuovo modo di intendere l’economia urbana, attraverso una lettura organizzativa di questi fenomeni affiancata all’analisi della governance di più ampi processi e strategie di rigenerazione urbana. A questo fine, voglio qui elencare tre sfide con cui politiche urbane basate su evidenze empiriche (tr. evidence-based policy) devono necessariamente confrontarsi.
La prima, identificare la dimensione territoriale, organizzativa e comunitaria degli Spazi Piattaforma. Gli Spazi Piattaforma sono luoghi e “contesti di apprendimento” in cui avvengono quelli che possiamo definire processi di open social innovation, basati sul coinvolgimento delle comunità locali, interazioni orizzontali / collaborative tra le diverse parti, spazi in cui si allineano obiettivi individuali e di sviluppo territoriale (Figura 1).
L’approccio agli Spazi Piattaforma può essere inteso come una modalità per progettare spazi di animazione che mirano al radicamento territoriale delle politiche di sviluppo, proponendo forme di gestione che vedono nella generatività della collaborazione una modalità di trasformazione culturale delle funzioni di produzione e consumo. Agevolando la definizione del problem setting dei contesti territoriali in cui operano, inquadrando competenze, responsabilità e priorità locali attraverso schemi di co-produzione tra attori pubblici e privati, sviluppano occasioni di prototipazione di prodotti e servizi avvalorata da un uso ibrido di spazi sperimentali altamente accessibili.
La seconda, identificazione di target e approcci per sostenere uno sviluppo economico di prossimità. A partire da una osservazione delle strategie e dalle politiche in via di sperimentazione, sono tre gli approcci più interessanti:
- sviluppo di competenze per intercettare nuovi pattern di consumo e sviluppare metodi place-based di analisi della domanda locale di servizi;
- sperimentazione di modelli di business innovativi e di partnership in campo imprenditoriale (es. nel campo dell’energia e della manifattura 4.0);
- gestione di percorsi di placemaking volti a trasformare la dimensione spaziale dei quartieri e delle economie di prossimità nel patrimonio pubblico e privato. (Figura 2)
Le piccole e medie imprese commerciali, artigianali e manifatturiere urbane rappresentano un target privilegiato di innovazione sistemica che vede come elemento chiave un’offerta di servizi calibrata sulle esigenze delle comunità locali. Un ruolo particolare nei settori individuati può essere giocato da attori e approcci vicini a quelli dell’imprenditoria sociale, in particolare nella capacità di creare una governance d’impresa capace di interagire nei luoghi in cui le attività di queste imprese si localizzano.
La terza, la messa in campo di strumenti di monitoraggio e comunicazione dell’Impatto sociale nelle politiche di rigenerazione urbana condotte negli Spazi Piattaforma e negli ecosistemi imprenditoriali/organizzativi da essi sostenuti, indentificando impatti intersettoriali (es. riqualificazione professionale.) in aree definite (es. città, quartieri, regioni) e target (es. giovanissimi, giovani, adulti). Questo aspetto è necessario per identificare gli Spazi piattaforma come impact makers in grado di rendicontare i propri risultati in investimenti finanziari pubblici e privati basati su logiche outcome-based, con la descrizione dei risultati e la produzione di prove di inclusione delle loro attività̀ operative come capaci di produrre un impatto sociale sia in termini di outcomes (es. sulla qualità della vita nelle comunità di riferimento) che output in termini di ricadute economiche e sociali misurabili come opportunità professionali e nuove imprese.
Ulteriori approfondimenti:
- Tricarico L., De Vidovich L. (2021), Proximity and post-COVID-19 urban development: Reflections from Milan, Italy. Journal of Urban Management, 10(3), 302-310.
- Tricarico L., Jones Z.M., Daldanise G. (2022), Platform Spaces: When culture and the arts intersect territorial development and social innovation, a view from the Italian context. Journal of Urban Affairs, 44, 4-5: 545-566.
- Tricarico L., Fulghesu F., Missikoff C. (2022), Spunti per un’agenda territoriale su educazione e cultura: contesti di apprendimento inclusivi e pratiche di innovazione sociale. Archivio di studi urbani e regionali, 133: 130-154.
- Tajani C. (2022), I vantaggi economici e sociali del reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane, Dite.