21 Novembre, 2024

Un intervento sulla propensione al South Working 

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La necessità di minimizzare i potenziali rischi di contagio da Covid-19 ha portato, nel marzo 2020, all’imposizione di regole sul “distanziamento fisico” in quasi tutti i Paesi del mondo e, tra i primi, in Italia. Gli obblighi di distanziamento hanno modificato l’organizzazione del lavoro, i luoghi del lavoro e la geografia del lavoro, sia nel settore pubblico che in quello privato (Mariotti, 2021). L’Italia è salita di posizione nella classifica europea per quanto riguarda la frequenza del lavoro a distanza (remote working) durante la pandemia: nel 2019 solo l’8% circa lavorava da casa, durante il lockdown circa il 40% ha iniziato a lavorare da casa a causa della pandemia (Sostero et al., 2020).

Negli Stati Uniti si sono ben presto sviluppati numerosi studi volti a calcolare il numero di lavoratori e lavoratrici che hanno approfittato della possibilità di remote working (lavoro a distanza) per spostarsi dalle metropoli ad aree con una densità abitativa inferiore. Lo stesso non può dirsi, probabilmente anche per maggiori difficoltà di raccolta dei dati, per il nostro Paese, dove i fenomeni di questo tipo sono ancora oggetto di ricerche preliminari. In particolare, ci si concentra sia sui lavoratori che hanno lasciato le città più grandi, in primis Milano, per spostarsi in zone suburbane, sia sui lavoratori a distanza che si sono spostati verso le aree meridionali ed interne del Paese, continuando a lavorare per datori di lavoro situati nelle città più grandi del Centro-Nord o addirittura all’estero. All’interno di questo scenario, nel marzo 2020 è sorto il movimento culturale dal basso SW-LdS poi costituitosi in una Associazione di Promozione Sociale, la cui missione è colmare i divari territoriali attualmente esistenti tra le diverse regioni d’Italia, stimolando e studiando il south working e avanzando una proposta di periodi di lavoro agile (per obiettivi, cicli e fasi), condotti non da casa bensì da spazi di lavoro condiviso che abbiano le caratteristiche di “presidi di comunità”. 

L’evento sconvolgente della crisi sanitaria si è innestato, per quanto riguarda le regioni meridionali, su un cupo scenario preesistente, in maniera simile a quanto avviene nelle aree interne italiane. Per quanto concerne il mercato del lavoro, destavano preoccupazione già nel 2019 i bassissimi livelli dei tassi di occupazione, specie femminile e giovanile, fasce di popolazione nella quale i tassi si attestavano intorno al 33% (EUROSTAT, 2019), con un altissimo rischio di cadere nella categoria dei NEET (not in education, employment or training). 

D’altro canto, all’interno del fenomeno storicamente rilevante delle migrazioni dal Mezzogiorno e dalle aree interne del Paese verso le grandi città e verso l’estero, si era notata già negli ultimi anni una tendenza in aumento delle migrazioni, cosiddette intellettuali, di studenti universitari e/o lavoratori altamente qualificati (Vecchione, 2017), sancito poi dalla Corte dei Conti che, nel 2021, ha calcolato che a partire dal 2013 si è registrato un +41,3% di laureati emigrati all’estero.

Figura 1 – Lavoro a distanza

L’emergenza sanitaria e l’esperienza di south working hanno mostrato che la presenza fisica in una determinata area geografica è meno rilevante che in passato e che è possibile lavorare anche a distanza bilanciando, almeno in parte, i costi delle migrazioni intellettuali, i cui benefici ricadono su altri territori. Senza considerare le ricadute emotive di tale fenomeno, che consentono di riportare capitale umano sui territori in via di spopolamento e riallacciare i legami sociali, familiari e personali. 

L’articolo intitolato Si è analizzata la propensione a lavorare a distanza dal Sud di lavoratori e lavoratrici originari di

Il presente articolo descrive i risultati del paper intitolato “Quali determinanti per il South Working?
Una nuova proposta di sviluppo per il Sud, le aree interne e il Paese”, scritto insieme ai colleghi
Dante Di Matteo e Raffaele La Regina, pubblicato di recente sul numero monografico della Rivista
Economica del Mezzogiorno (Di Matteo et al., 2021). Lo scopo del paper è stato quello di avanzare
una misurazione della propensione a lavorare dal Sud prima e dopo la pandemia. Nello specifico, è
stata analizzata la propensione a lavorare a distanza dal Sud di lavoratori e lavoratrici originari di
Palermo che prima della pandemia lavoravano in prevalenza nelle regioni settentrionali del Paese o
all’estero. Vengono utilizzati i dati provenienti dal questionario di SW-LdS, somministrato in via
continuativa durante la prima e la seconda fase della pandemia agli individui potenzialmente
interessati a lavorare in via permanente dal Sud, una volta terminato lo stato di emergenza sanitaria.
Alla data del 28.08.2021, sono state raccolte 2.524 interviste, di cui 992 a lavoratori siciliani di
origine e, in particolare, 650 palermitani. Il questionario è stato somministrato on line in forma
anonima, tramite i canali di SW-LdS. L’87,5% dei partecipanti si definiva “lavoratore” e, di essi, il
69,1% riferiva di avere un contratto a tempo indeterminato, il 9,1% a tempo determinato, mentre il
10,3% lavorava con partita IVA.

Figura 2 – La città di Palermo. Fonte: Elena Militello

Per raggiungere l’obiettivo di ricerca, viene proposto un modello econometrico che affronta il possibile problema dell’autoselezione del campione – verosimilmente causato dalla familiarità a lavorare da remoto prima della pandemia – mediante l’utilizzo del modello di selezione a due fasi di Heckman che include due funzioni di regressione. La prima consiste nello stimare i meccanismi che determinano la possibilità di lavorare in south working, mentre la seconda è l’equazione di selezione circoscritta alla porzione di campione i cui meccanismi si presume vadano a determinare il processo di selezione (aver precedentemente lavorato in remote working).

Dai risultati dell’analisi econometrica, si evince che le motivazioni in favore del south working da parte di coloro i quali prima della pandemia da Covid-19 avevano già una certa familiarità con il lavoro a distanza possono essere ricondotte al genere (uomo vs. donna), status coniugale (essere in una relazione vs. single), grado di istruzione (alto vs. medio-basso) e tipo di impiego (lavoratori autonomi vs. dipendenti). Non risulta, invece, significativo lo status professionale, ovvero non sembra esserci differenza tra lavoratori a tempo determinato o autonomi rispetto a quelli a tempo indeterminato, come ci saremmo aspettati. 

Grazie ai risultati dell’analisi, si tenta di ampliare il dibattito attualmente in corso sulla possibilità di proporre nuove politiche pubbliche per implementare e migliorare le condizioni di lavoratori e lavoratrici che vogliano usufruire di periodi di south working. Il lavoro a distanza, da un lato, ha rovesciato il paradigma mostrando come un nuovo modello di sviluppo sia possibile riempiendo i vuoti, dall’altro, ha evidenziato tutti i divari territoriali legati al digitale: la banda ultra-larga raggiunge solo il 25% della popolazione nazionale contro una media europea del 60%, privando una parte di cittadini dalla possibilità di lavorare e studiare in maniera efficiente (Cersosimo e Donzelli, 2020). La riduzione del digital divide e, quindi, il potenziamento delle infrastrutture digitali, rappresentano uno degli assi principali del “Piano Sud 2030” presentato nel febbraio 2020 dal Ministro per il Sud e la Coesione territoriale. Lo stesso PNRR ha assunto questo impegno perché si è compresa la strategicità di queste infrastrutture, proprio a partire dalle esperienze di didattica e lavoro a distanza. 

Dall’analisi condotta si può dedurre che il fenomeno del south working, se collocato all’interno di un disegno strategico di policy che metta al centro le condizioni di contesto del territorio (dalle infrastrutture materiali a quelle sociali, in stretta congiunzione con l’ offerta di servizi di cittadinanza), anche nell’ambito del PNRR, potrebbe rivelarsi un’opportunità significativa per attenuare i divari territoriali attualmente esistenti e i processi di de-accumulazione di capitale umano qualificato iniziati da almeno un ventennio nel Sud e nelle aree interne del Paese e che stanno irreversibilmente compromettendo lo sviluppo del Mezzogiorno e, più in generale, di tutte le aree marginalizzate del Paese. 

Ulteriori approfondimenti

Di Matteo D., La Regina, R., Mariotti, I., Militello, E. (2021), “Quali determinanti per il South Working? Una nuova proposta di sviluppo per il Sud, le aree interne e il Paese”, Rivista Economica del Mezzogiorno, ISSN: 1120-9534, Anno XXXV, pp.677-702.

EUROSTAT (2019), European Union Labour Force Survey, Bruxelles, disponibile su https://ec.europa.eu/eurostat/web/microdata/european-union-labour-force-survey.

Mariotti I. (2021), Il lavoro a distanza svuota le città?, in Bellandi M., Mariotti I., Nisticò R. (a cura di), Città e periferie alla prova del Covid-19: dinamiche territoriali, nuovi bisogni, politiche, Roma, Donzelli, pp. 25-36.

Sostero M., Milasi S., Hurley J., Fernandez-Marcias E., Bisello M. (2020), Teleworkability and the COVID-19 crisis: a new digital divide?, Siviglia, Commissione europea, JRC e Eurofound.

Vecchione G. (2017), Migrazioni intellettuali ed effetti economici sul Mezzogiorno d’Italia, in «Rivista economica del Mezzogiorno», n. 3, pp. 643-662.

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