Alla globalizzazione dei mercati fa seguito un fenomeno che potremmo chiamare di “globalizzazione delle coscienze”: spinto dalla necessità di combattere il cambiamento climatico il fenomeno sfocia in una specie di solidarismo universale, via via che si fa strada la consapevolezza che non c’è progresso ambientale senza progresso sociale. Consapevolezza continuamente alimentata da Avaaz.org e da altre piattaforme globali. Tale fenomeno inizia con i “millennial” e si rafforza con la generazione successiva, di cui Greta Thunberg ne è la rappresentante.
Larry Fink (CEO di BlackRock, il maggior intermediario finanziario del mondo, con 10.000 miliardi di USD in gestione) il 17 gennaio 2019 scrive agli azionisti «Una recente indagine di Deloitte ha chiesto ai lavoratori millennial quale dovrebbe essere lo scopo primario di una società: rispetto alla risposta “generare profitto”, “migliorare la società” ha riscosso il 63 percento di consensi in più. Nei prossimi anni le opinioni di queste generazioni ne guideranno le decisioni non solo in quanto dipendenti, ma anche come investitori, proprio mentre nel mondo è in corso il maggiore trasferimento di ricchezza della storia: 24.000 miliardi di dollari dai baby boomer ai millennial»
Così, quel capitale che per secoli abbiamo considerato opportunistico può diventare, almeno in parte, solidaristico: questo cambia i fondamenti stessi delle cosiddette partnership pubblico – private. La domanda se tale capitale solidaristico possa essere impiegato per l’attuazione di piani territoriali strategici, come i PUMS, implica due considerazioni: la prima è sulla natura transcalare della partnership pubblico – privata in questione, l’altra è sulla dimensione territoriale della stessa.
Riguardo alla natura transcalare della partnership pubblico – privata in questione vi è, procedendo dal generale al particolare, un primo livello: il rapporto Stato – risparmiatori utile per indirizzare il risparmio privato verso il territorio attraverso apposite manovre di politica economica. Il tema è rilevante perché, in assenza di azioni specifiche, nello stesso periodo in cui lo Stato immetterà nell’economia reale i 260 miliardi del PNRR, un’inflazione programmata (TIP) al 5,4% manderà in fumo 364 miliardi dei 1700 depositati sui conti correnti bancari: è un gioco a somma negativa.
Vi sono già due misure europee finalizzate ad agevolare l’investimento privato nell’economia reale: la prima è “Invest UE”, misura immaginata da Jean-Claude Juncker, Ex Presidente della Commissione europea, per abbattere i rischi dei risparmiatori che volessero investire responsabilmente in infrastrutture utili al loro Paese; la seconda è il fondo di fondi della Bei (Banca Europea degli Investimenti), previsto dalla missione 2.2.b del PNRR, utile per promuovere fondi comuni d’investimento locali. Ma il Governo sembra avere altre priorità: se deve scegliere tra il debito ed altre forme, più complesse di approvvigionamento finanziario, di solito sceglie il debito.
Riguardo al secondo livello della natura transcalare della partnership pubblico-privata, centrale è il rapporto Sgr (Società di Gestione del Risparmio) – Amministrazioni.
Le Sgr sono le organizzazioni abilitate dalle Banche Centrali per la strutturazione di prodotti finanziari da proporre al mercato (come BlackRock). Oggi sono fortemente orientate verso soluzioni che definisco solidaristiche: il risultato sono gli OICR (Organismi d’investimento collettivo del risparmio) e gli ESG (Environmental, social, governance) che, semplificando per esigenza di sintesi, dovrebbero, nel migliore dei casi, essere impiegati per il raggiungimento degli SDG (Sustainable Development Goal) delle Nazioni Unite.
Ebbene le Sgr, preferibilmente a valle di apposite misure governative, dovrebbero, da una parte, raccogliere le sfide dei piani territoriali strategici e dall’altra raccogliere risparmi per metterle in atto: la “guida” politica è fuori discussione, non c’è da trovare una mediazione tra interesse privato e interesse pubblico perchè le Sgr attueranno i Piani che le Amministrazioni vorranno attuare, né più né meno.
Relativamente alla dimensione territoriale delle partnership pubblico – private, tutti conveniamo che per governare un dato fenomeno si debba agire alla scala del fenomeno medesimo: è un principio banale che tuttavia raramente trova applicazione nel territorio per via della polverizzazione amministrativa dello stesso. Così alla scala regionale si tenta di governare fenomeni, di fatto, interregionali (si pensi, ad esempio, alla megalopoli mediterranea, quella conurbazione padana di cui tratta Calogero Muscarà nel lontano 1978), alla scala provinciale si tenta di governare fenomeni, di fatto, interprovinciali ed alla scala comunale fenomeni quanto meno provinciali, come appunto è la mobilità.
Adesso, l’OICR ESG ha una peculiarità: prescinde dai confini delle singole Amministrazioni per cui possono prendervi parte via via, anche per addizione, tutte le Amministrazioni interessate da un determinato fenomeno, in deroga all’appartenenza o meno ad un’Amministrazione sovraordinata. Nel corso del lavoro “OICR ed investimenti urbani”, ad esempio, abbiamo immaginato un unico OICR ESG per la regolazione della logistica in tutte le 14 città metropolitane perché la distribuzione dell’ultimo miglio non è che l’anello terminale di una catena di scambi ferro – gomma, gomma – gomma che devono essere governati simultaneamente nel loro complesso, alle diverse scale d’intervento, dalla nazionale alla locale. E non si può attendere che sia la “mano invisibile del mercato” a farlo perché, nel caso specifico, non c’è nessuna mano invisibile del mercato quanto, invece, un caos visibile del territorio.
Insomma, l’OICR ESG è uno strumento necessario per guidare le trasformazioni, anche transcalari, del territorio, tra cui quelle riguardanti la mobilità, nella direzione utile alla collettività, senza attendere che sia il mercato, così come lo intendiamo, a (non) farlo.
Nei prossimi anni, per effetto della cosiddetta transizione ecologica, dovremo compiere un enorme sforzo progettuale e finanziario per imprimere al territorio una direzione opposta alle spinte centripete che lo hanno plasmato nel dopoguerra; innanzitutto, per contenere la mobilità, soprattutto sistematica, riducendo emissioni e consumi. Ma per farlo sarà necessario realizzare città “diffuse” e “orizzontali”, nelle quali i servizi sociali e sanitari, per l’istruzione e per il lavoro terziario e quaternario siano vicino a casa (le città dei 15 minuti). Il tema della mobilità trascende la mobilità in senso stretto: si tratta di ricostruire un intero Paese, come nell’immediato dopoguerra, rimediando a decenni di espansione incontrollata delle città. Ma questa volta senza nuovo consumo di suolo. Ed è molto più difficile.
Per tutto questo lo Stato non basta. Servono strumenti nuovi: bisognerà ricorrere alla capacità trasformativa degli OICR ESG ed al risparmio degli italiani. Il mercato è pronto. Il potere politico non ancora.
Il lavoro che abbiamo svolto, come direbbe Viktor Borisovič Šklovskij il quale coniò il termine nel 1916, ha avuto un effetto “straniante” sulle Amministrazioni, facendole uscire dall’automatismo della percezione che i Piani si fanno per non essere attuati (i PUMS insegnano), che le metropoli policentriche, di cui si disserta da almeno 30 anni, sono in realtà costruzioni metafisiche e tali debbono restare.
Ulteriori approfondimenti
I contenuti dell’articolo sono stati sviluppati all’interno del progetto di ricerca “OICR e investimenti urbani”, finanziato da InvestItalia/Presidenza del Consiglio e sviluppato da AUDIS in collaborazione con l’Università di Parma e la Città Metropolitana di Milano. I casi di studio presentati sono tratti da uno studio di benchmark internazionale scaricabile al seguente link http://audis.it/ricerca/8258/.