Competizione globale, competitività urbana
La globalizzazione è ormai noto che abbia fatto emergere una nuova geografia di città e aree metropolitane che, sfruttando i vantaggi delle grandi agglomerazioni e le maggiori dotazioni di capitale fisico e umano, competono per affermarsi come nodi dell’economia globale e come spazi per la circolazione e l’accumulazione del capitale. In un’ottica di acquisizione di vantaggi competitivi rispetto ai territori “rivali”, aumentare la competitività diventa una priorità delle politiche di sviluppo. Gli esempi sono molteplici e riguardano sia la produzione dello spazio urbano, come la costruzione di infrastrutture e di poli terziari e/o culturali, sia le strategie di marketing territoriale, volte a rilanciare l’immagine del territorio agli occhi di investitori, turisti e city users.
La promozione del turismo ne è un esempio emblematico. Il turismo, identificato come uno dei motori della crescita urbana e da alcuni definito come un “giubbotto di salvataggio” per i paesi del Sud Europa, richiede non solo una serie di investimenti in infrastrutture, servizi e centri culturali o di intrattenimento, ma anche un’attività di promozione del territorio legata, ad esempio, al patrimonio storico ed architettonico o all’organizzazione di eventi. In alcuni casi, si è agito anche mediante la leva fiscale, come in Portogallo dove nel 2012 è stato adottato il Golden Visa, anche noto come permesso di residenza per attività di investimento. Secondo questo schema, i cittadini non-europei hanno diritto a un visto e a un regime di tassazione speciale senza un obbligo di residenza permanente ma in cambio di un investimento minimo di 280.000 euro nell’immobiliare, nei fondi di venture capital e nella creazione di attività produttive. Tra il 2012 e il 2020, il governo portoghese ha rilasciato circa 9.514 visti legati ad investimenti nel residenziale e nel commerciale. Tuttavia, è evidente che tale incentivo abbia avuto impatti sociali e spaziali significativi, soprattutto nei centri urbani più grandi dove i grandi investitori e “la nuova classe media transnazionale” (Sigler e Wachsmuth 2020) hanno acquistato unità residenziali per convertirle in locazioni turistiche. Ciò ha notevolmente incrementato la pressione turistica su interi quartieri cittadini in termini di accessibilità allo spazio pubblico e alla casa, comportando l’espulsione di residenti e attività commerciali (Jover e Cocola-Gant 2022).
Logiche finanziarie, bisogni locali
In seguito alla de-industrializzazione dell’economia urbana, a partire dagli anni Settanta, si assiste alla conversione di grandi aree dismesse e al consolidamento dei mega-progetti per il rilancio dell’economia, prima negli Stati Uniti e successivamente in Europa e nel Sud del mondo. Da Hudson Yards a New York a King’s Cross a Londra, da Tour and Taxis a Bruxelles agli sviluppi di Porta Nuova e CityLife a Milano, le grandi trasformazioni si affermano come uno strumento politico per cogliere le opportunità create da grandi vuoti urbani, per catturare risorse –finanziarie e umane— e nuove funzioni produttive, valorizzare ampie porzioni di territorio e plasmare l’immagine della città come luogo attrattivo, innovativo, dinamico e internazionale.
I mega progetti sono complesse operazioni immobiliari che richiedono un’alta intensità di capitale, sia in fase di costruzione che in fase operativa, e una serie di risorse tecniche e conoscitive. La loro realizzazione si fonda su collaborazioni e partenariati molto articolati, tra governi locali e attori economici, e nuovi strumenti normativi flessibili, in grado di agevolare ed accompagnare i processi di sviluppo nel lungo periodo. Negli Studi Urbani, essi sono quindi considerati catalizzatori di cambiamento istituzionale in quanto producono nuove configurazioni di potere che possono intaccare l’esito stesso delle politiche.
In questa fase di crescente interdipendenza tra mercato immobiliare e finanza, i mega-progetti rappresentano una sfida importante per gli enti locali che, se scarsamente attrezzati dal punto di vista delle risorse materiali (capitali) e immateriali (risorse tecniche e conoscitive), si trovano in una condizione di dipendenza dalle fonti esterne di finanziamento. Per questo motivo, essi creano delle condizioni favorevoli all’arrivo di capitali, assicurando rendimenti competitivi nel lungo periodo.
Gli strumenti di pianificazione sono pensati per accompagnare la contrattazione tra attori pubblici e privati su volumetrie, amenità pubbliche e tempi di realizzazione. L’obiettivo è duplice: da una parte, incrementare la redditività degli investimenti e, dall’altra, provvedere a una più efficiente gestione dei rischi finanziari legati, ad esempio, all’ottenimento del credito o alla gestione di grandi portfolio immobiliari. In questo modo la pianificazione si “decontestualizza” (Savini, Aalbers, 2016) e, slegandosi dai territori, fatica a rispondere ai bisogni reali locali quali, ad esempio, una domanda di alloggi accessibili e/o una maggiore dotazione di servizi per la collettività. Ma l’accesso al mercato dei capitali viene, in alcuni contesti, anche assicurato attraverso la cartolarizzazione e una serie di nuovi strumenti finanziari, come il Tax Increment Financing, che comportano l’emissione di obbligazioni per sussidiare lo sviluppo e l’infrastrutturazione delle grandi aree e per condividere la gestione dei rischi finanziari.
Come accennato nel precedente paragrafo con riferimento alla promozione del turismo, anche i mega-progetti di trasformazione urbana hanno dei costi sociali. La ri-funzionalizzazione di queste aree, sempre più orientata ad intercettare una domanda internazionale (di investimenti, di spazi di consumo e residenziale), diventa un meccanismo di polarizzazione sociale tra chi può permettersi di abitare questi spazi e chi, invece, non possiede le risorse necessarie per farlo. La valorizzazione di grandi porzioni del tessuto urbano influisce, inoltre, sull’innalzamento dei valori immobiliari avviando, spesso, processi di esclusione e di espulsione sociale.
Note conclusive, questioni aperte
Per concludere, si ritiene importante esplicitare alcune domande che hanno guidato queste riflessioni e che meriterebbero più spazio nel dibattito pubblico e accademico: Cosa significa vivere in un territorio competitivo e attrattivo? Chi ne è escluso? Quali sono i rischi? Quali i costi sociali della competitività? Come sono distribuiti i benefici? Questi quesiti sono rilevanti perché interrogano la capacità delle politiche e della Politica di governare lo sviluppo a partire dai territori e dai bisogni locali.
Per approfondire:
Jover J., Cocola-Gant A. (2022), The political economy of housing investment in the short-term rental market: insights from urban Portugal. Antipode, 0, 0: 1-22.
Savini F., Aalbers M.A. (2016), The de-contextualisation of land-use planning through financialisation: urban development in Milan. European Urban and Regional Studies, 21, 4: 878-894.
Sigler T., Wachsmuth D. (2020), New directions in transnational gentrification: tourism-led, state-led and lifestyle-led urban transformations. Urban Studies, 57(15): 3190-3201.