Sono ormai numerose le città che stanno sperimentando politiche finalizzate a promuovere una mobilità urbana sempre meno dipendente dall’uso dell’auto privata. In queste esperienze, la necessità di ridurre i costi ambientali generati dal traffico automobilistico e rendere le città non solo più sostenibili, ma anche inclusive, sicure e resilienti, ha portato a superare un approccio basato esclusivamente sulla regolamentazione del traffico veicolare, per promuovere politiche capaci di garantire ʻaccessibilità di prossimitàʼ a servizi e attività urbane, grazie all’offerta di opzioni integrate di mobilità alternative all’auto privata e alla disponibilità di piattaforme di infomobilità in grado di migliorare la qualità e l’intermodalità degli spostamenti quotidiani.
Si inscrivono in questo contesto le esperienze condotte per traguardare il modello della Xmin city, ispirato al chrono-urbanism proposto da Carlos Moreno (2021), e da tempo sperimentato nei Piani Strategici di Portland (2012) e Melboune (2017) che pianificano la organizzazione urbana su un sistema di «20 minutes inclusive, vibrant, healthy neighborhoods», accessibili al trasporto pubblico e ben collegati ai principali centri e servizi metropolitani, dotati di un’offerta di spazi pubblici di alta qualità, servizi che supportano la vita locale e reti digitali efficienti per il lavoro a distanza, la telemedicina e la fruibilità di beni e servizi disponibili online. Questo modello si fonda sulla priorità accordata alla accessibilità di prossimità che garantisce un’equa distribuzione delle opportunità urbane e favorisce la possibilità di raggiungerle combinando la mobilità attiva col trasporto pubblico, la micro-mobilità, la mobilità condivisa.
Dare centralità all’accessibilità di prossimità riorienta la pianificazione della mobilità non tanto verso l’obiettivo tradizionale di migliorare l’efficienza e la capacità dei sistemi di trasporto, quanto verso l’aumento della disponibilità di servizi, attività e contatti sociali in prossimità per limitare gli spostamenti non scelti e migliorarne qualità e sostenibilità (Levine et al. 2019).
Questo perché l’accessibilità di prossimità restituisce «un modo di pensare la accessibilità a scala locale» (Handy, 2020), con la finalità da un lato di assicurare un livello di accessibilità sufficiente (basic accessibility) a servizi urbani, come soglia minima che consenta a ogni persona di prendere parte a diverse attività (Martens, 2017; Lucas, 2012; 2016); dall’altro di garantire qualità agli spazi pubblici a supporto della mobilità attiva (King, Krizek, 2020).
L’attuazione di questo modello, che ha sino ad ora privilegiato i contesti urbani densi complessivamente caratterizzati da una buona offerta di servizi di prossimità, trasporto pubblico e di opzioni di micro-mobilità e mobilità condivisa, pone sfide rilevanti sia rispetto alla sua capacità di indirizzare politiche inclusive, capaci cioè di migliorare le condizioni della mobilità attiva e garantire l’accesso a un insieme diversificato di servizi e opportunità essenziali per ogni cittadino, sia rispetto agli strumenti per indirizzare le politiche urbane verso questo modello.
La diversità dei contesti insediativi impone infatti di prestare attenzione a come misurare l’accessibilità di prossimità, a come definire la soglia minima di accessibilità per garantire inclusione sociale e partecipazione; quali servizi e opportunità dovrebbero essere equamente distribuiti e offerti in prossimità per soddisfare le diverse esigenze di differenti gruppi sociali, evitando di riprodurre le disuguaglianze esistenti.
Inoltre, il modello richiede che si ragioni su come le modalità di trasporto attive, principalmente a piedi e in bicicletta, possano diventare un’opzione vantaggiosa non solo per contesti urbani ad alta densità, ma anche per ambiti periurbani fortemente dipendenti dall’uso dell’auto, oltre che per i cittadini più vulnerabili o con limitazioni alla mobilità personale.
La sfida riguarda la ricerca di “metriche di prossimità” non riconducibili unicamente a soglie spazio-temporali date a priori (come nel caso della città dei 15 minuti), ma piuttosto capaci di integrare la dimensione funzionale della prossimità come condizione di accesso fisico a servizi, a una dimensione relazionale della prossimità basata sulla presenza di comunità di luogo e di pratiche (Wenger 1998) che condividono bisogni, ma anche beni e opportunità legati all’accessibilità e che attivano forme e servizi collaborativi (Manzini, 2021; Ferreira et al., 2017), particolarmente importanti in contesti a bassa densità dove le metriche della prossimità necessitano anche di integrazioni modali con l’auto.
Nelle esperienze più interessanti, la priorità accordata alla accessibilità di prossimità riscrive i parametri della prossimità fisica e temporale, ricercando soluzioni che integrano opzioni già sostenibili (mobilità attiva, in sharing, il trasporto pubblico) per fornire un’alternativa a un sistema di mobilità ancora fortemente dipendente dall’uso dell’auto.
Gli articoli che seguono contribuiscono a dare un contenuto applicativo alla nozione di accessibilità di prossimità, proponendo due sperimentazioni avviate a Bologna. Il primo articolo scritto da Luigi Carboni e Giovanni Lanza presenta un indice di accessibilità di prossimità (IAPI) finalizzato a valutare lo stato attuale della qualità dei percorsi e dell’accessibilità ai servizi attraverso mobilità attiva nei diversi quartieri e per diversi profili di abitanti (pedoni, persone a mobilità ridotta e ciclisti). In questo modo l’indice rappresenta uno strumento per supportare il dibattito interno ed esterno all’amministrazione attraverso le visualizzazioni dei risultati, così da orientare interventi mirati per il miglioramento della qualità di spazi e percorsi, utile per costruire scenari con cui simulare gli effetti che interventi anche di scala micro possono produrre.
Il secondo contributo scritto da Fondazione per l’innovazione Urbana presenta i risultati di una valutazione partecipata, grazie al coinvolgimento degli abitanti, delle forme d’uso, di regolazione e di trattamento degli spazi stradali in interventi di urbanistica tattica, promossi per sperimentare usi alternativi a quelli della circolazione veicolare in alcuni spazi pubblici e strade della città.
In entrambe le esperienze l’accessibilità di prossimità acquista una dimensione operativa legata da un lato alla implementazione di uno strumento per misurare e visualizzare la qualità dell’accessibilità ciclo-pedonale a servizi essenziali, dall’altro di un dispositivo per valutare l’efficacia di trasformazioni temporanee e intenzionali negli usi delle strade al fine di “Exploring systemic change in urban mobility» (Bertolini, 2020).
Per approfondire
- Coppola P.L., Pucci P., Pirlo G. (a cura di) (2023), Mobilità & Città: verso una post-car city. Ottavo Rapporto Urban@it sulle città. Bologna: Il Mulino.
- Manzini E. (2021), Abitare la prossimità. Milano: Egea.
- Moreno C., Allam Z., Chabaud D., Gall C., Pratlong F. (2021), Introducing the 15-Minute City: Sustainability, Resilience and Place Identity in Future Post-Pandemic Cities. Smart Cities, 4: 93–111. Doi: 10.3390/smartcities4010006.