23 Novembre, 2024

Capitale territoriale e sviluppo locale

Tempo di lettura: 6 minuti

Una personalità poliedrica come quella di Roberto Camagni ha contribuito in molteplici campi, teorici ed empirici dell’economia regionale e urbana. Un elemento che tuttavia accomuna tutti i suoi contributi è quello di avere sempre avuto in mente le ripercussioni pratiche dei concetti che ideava e delle analisi che andava a realizzare.

Molti le chiamerebbero “policy implications”, ma il termine in questo caso è riduttivo perché per Camagni le implicazioni per le politiche non erano soltanto un qualcosa di ulteriore che scaturisce da una ricerca completata, ma erano spesso e volentieri una vera e propria ragione per la ricerca stessa, essendo egli una persona con una notevole passione civica che lo portava quindi a interessarsi di problemi concreti, passando rapidamente dalla teoria alla pratica e viceversa. Ma teoria e politiche non erano mai veramente separate in quanto, anche nelle discussioni di policy, Camagni non si è mai comportato da semplice “practitioner”, bensì come ci si aspetta si comporti un accademico dalla profonda cultura teorica e concettuale che, nel suo caso, veniva messa al servizio della pratica fornendo indicazioni motivate sulla base della teoria economica e non soltanto della pur grande esperienza.

Con questo approccio e questa cultura, non poteva quindi esimersi dal fornire contributi importanti nel campo dello sviluppo locale, tema del quale si è occupato in tutte le fasi della sua carriera.

Un esempio perfetto di come teoria e policy si rafforzano l’un l’altra nei lavori di Roberto Camagni è quello della teoria del capitale territoriale. Il concetto era stato introdotto qualche anno prima nel 2001 dall’OCSE, e poi ripreso nel 2006 in un documento della Commissione Europea dove si parla delle diverse specificità regionali e dei ritorni degli investimenti. Però mancava una definizione e una concettualizzazione solida che poi potesse essere utilizzata per l’analisi e per il policymaking.
Ecco quindi che Camagni (2008, 2009) riprende il concetto andando a definirlo e andando ad identificare gli elementi del capitale territoriale secondo le due dimensioni della rivalità e della materialità. In questo modo, tutti gli elementi tradizionali della crescita regionale di lungo periodo vengono evidenziati, per esempio le infrastrutture sono pubbliche e materiali, mentre il capitale umano è privato e immateriale. La parte più interessante, però, è legata al fatto che la classificazione non è in una tabella 2×2 ma in una tabella 3×3, in quanto, oltre ai quattro angoli più tradizionali, Camagni individua una “croce innovativa”, formata dagli elementi con un livello intermedio di rivalità e/o materialità. Questi elementi sono quelli più difficili da definire e misurare, ma costituiscono anche quelli più interessanti concettualmente e più importanti per la crescita dei territori nella nostra epoca.
Un altro elemento estremamente importante, che di nuovo dimostra come la teoria e le politiche non siano mai separate, è l’osservazione che il capitale territoriale di una regione agisce a livello sistemico. Non è gran ché utile che una regione sia ricchissima negli elementi di un determinato quadrante se è debole negli altri elementi, in quanto esiste una complementarietà tra questi assets, il che implica la necessità di politiche bilanciate (come empiricamente verificato da Fratesi e Perucca, 2019).

Sebbene l’esempio del capitale territoriale sia estremamente rilevante, esso non costituisce il primo tra gli elementi nei quali il pensiero e gli studi di Camagni hanno influenzato lo sviluppo locale.
Innanzitutto, possiamo citare l’esperienza nel GREMI (Groupe de Recherche Européen sur le Milieux Innovateurs), di cui è stato un motore essenziale, con la presidenza (1987-2016) e la cura del volume più citato (Camagni, 1991). Immaginando che il tema sia già trattato nell’intervento sull’innovazione, la rilevanza della teoria del milieu per lo sviluppo locale va comunque menzionata perché l’archetipo milieu è in grado di generare economie esterne dinamiche e quindi in grado di competere con sistemi basati sulla grande impresa nel campo dell’innovazione, un comportamento fino ad allora inspiegato.

Quello della competitività territoriale è uno degli elementi chiave dell’opera di Camagni. Innanzitutto va ricordata la sua risposta a Krugman che aveva criticato le politiche di competitività a livello territoriale. In un paper totalmente concettuale, Camagni (2002) dimostra che essere competitive, per le regioni, è necessario per evitare un destino di desertificazione produttiva e dipendenza da altre regioni e questo perché i meccanismi di aggiustamento presenti a livello nazionale, che permettono ai paesi di trovare un ruolo nel commercio internazionale tramite il vantaggio comparato, non sono presenti a livello regionale. Il tasso di cambio, infatti, è unico, per cui non possono esserci aggiustamenti monetari, né prezzi e salari possono differire troppo tra regioni.

I suggerimenti per le politiche di sviluppo locale dell’opera di Camagni sono anche più direttamente legati al dibattito di policy dell’epoca in cui vengono scritti. Per esempio, un suo vecchio contributo 1992, nel quale egli mostrava già di avere intuito dei fenomeni che si sono in seguito realizzati e che sono arrivati alla ribalta in tempi molto più recenti (Rodríguez-Pose, 2018). Il lavoro si riferisce in particolare ai processi di integrazione europea che non avrebbero portato gli stessi benefici a tutte le regioni, con quelle più deboli che avrebbero sofferto di più perché, da un lato, meno abili ad approfittare delle nuove opportunità e, dall’altro, impattate dalla perdita del loro tradizionale vantaggio sui costi del lavoro.

Un esempio più recente, invece, è quello del 2015 (Camagni e Capello, 2015) nel quale si pone la questione di che cosa fare delle politiche di coesione (ovvero quelle europee per lo sviluppo territoriale) in un periodo di crisi economica, nel quale le risorse si riducono e nel quale diventa più critico affrontare un trade-off tra competitività e crescita, per cui le risorse finalizzate alla pura coesione sembrano diventare meno utili. In questo contributo Camagni e Capello evidenziano che le politiche di stimolo alla domanda, che vanno in voga nei periodi di crisi, non devono sostituire quelle di coesione, sia perché sono le regioni deboli quelle che soffrono di più, sia per non rendere vani gli sforzi precedenti. Inoltre, tra un approccio di efficienza che si focalizzi sulle aree forti e uno di pura equità che si focalizzi sulle aree deboli, viene supportato, anche con analisi quantitative, che i due obiettivi possono essere coniugati focalizzandosi sul potenziale di sviluppo dei territori, come espresso, logicamente, dal loro capitale territoriale.

In conclusione, pur nel limitato spazio di questo articolo, gli esempi portati mostrano che uno dei motivi per cui il lascito di idee di Camagni è così rilevante deriva dal suo essere stato in grado di portare la teoria nelle policy e le policy nella teoria, cosa che è ancora più rilevante per il tema dello sviluppo territoriale.

Ulteriori approfondimenti

  • Camagni R. (ed.) (1991), Innovation networks: spatial perspectives. London: Belhaven Press.
  • Camagni, R. (1992). Development Scenarios and Policy Guidelines for the Lagging Regions in the 1990s. Regional Studies, 26(4), 361–74. https://doi.org/10.1080/00343409212331347051
  • Camagni R. (2002), On the Concept of Territorial Competitiveness: Sound or Misleading? Urban Studies, 39, 13: 2395–2411.
  • Camagni R. (2009), Territorial capital and regional development. In: Capello R., Nijkamp P. (eds.), Handbook of Regional Growth and Development Theories. London: Edward Elgar. 118–132.
  • Camagni R., Capello R. (2015), Rationale and design of EU cohesion policies in a period of crisis. Regional Science Policy and Practice, 7, 1: 25–47.
  • European Commission (2006), The Territorial State and Perspectives of the European Union Document. Towards a Stronger European Territorial Cohesion in the Light of the Lisbon and Gothenburg Ambitions. Presented at the Coming Presidencies Group Meeting in Brussels on 12 May 2006 / 21 June 2006.
  • Fratesi U., Perucca G. (2019), EU regional development policy and territorial capital: A systemic approach. Papers in Regional Science, 98, 1: 265–281.
  • Krugman P. (1996), Making sense of the competitiveness debate. The Oxford Review of Economic Policy, 12, 3: 17–25.
  • OECD (2001), OECD Territorial Outlook: territorial economy. Paris: OECD
  • Rodríguez-Pose A. (2018), The revenge of the places that don’t matter (and what to do about it). Cambridge Journal of Regions, Economy and Society, 11, 1: 189–209.

Articoli correlati

Rapporti conflittuali nella triade partecipazione/ urbanistica/ populismo 

Negli articoli di questo numero si riflette sull’importanza di una rinnovata democrazia partecipativa capace di incidere nei processi decisionali urbanistici considerando anche i crescenti populismi. In questo primo contributo, si difende la necessità di una nuova ecourbanistica, sostenuta da una figura rinnovata di urbanista intellettuale, capace di confrontarsi criticamente con le pubbliche amministrazioni anche grazie alla democrazia partecipativa dell’associazionismo civico

Sulla democrazia partecipativa nei processi decisionali urbanistici

Rispondendo ad alcune domande, l’autore illustra la rilevanza che dovrebbe avere nei processi decisionali urbanistici, anche in Italia, la consultazione dei cittadini nella deliberative democracy. Citando la recente esperienza in India dell’Urban Transport Project a Mumbai e la costruzione di un’autostrada di interesse intercomunale in Francia, Sabino Cassese spiega perché lo scarso ricorso alla democrazia partecipativa a livello amministrativo sia oggi un problema, anche davanti alle diverse forme di populismo che sembrano crescere in tutta Europa.

Attualità delle procedure partecipative di Giancarlo De Carlo 

Credendo nell’importanza della partecipazione anche per l’attuale urbanistica e nella validità ancora oggi dell’insegnamento del suo maestro a riguardo, Franco Mancuso ricorda due procedure partecipative che ha vissuto con G. De Carlo, entrambe caratterizzate dalla sua fiducia nella partecipazione come momento essenziale di ogni processo di progettazione. La prima alla fine degli anni Cinquanta per la redazione del Piano Regolatore di Urbino e la seconda all’inizio degli anni Settanta per la progettazione del villaggio Matteotti a Terni.

Rallentare, venticinque anni dopo. Partecipazione, conoscenze, populismo

A venticinque anni dalla pubblicazione, la rilettura del saggio di Paolo Fareri Rallentare costituisce un’occasione importante per riflettere sulle contraddizioni e sulle ambiguità dei processi partecipativi nella pianificazione urbanistica e nelle politiche urbane, sul crinale tra processi di istituzionalizzazione e depoliticizzazione delle pratiche partecipative e indebolimento della democrazia locale connesso all’emergere delle nuove forme di populismo.

La sfida della transizione energetica e le barriere alla diffusione delle rinnovabili

Alla luce degli ambiziosi obiettivi europei di decarbonizzazione, un intervento pubblico è quanto mai fondamentale per sostenere adeguati investimenti in rinnovabili. Interpretare tale necessità solo in chiave monetaria sarebbe tuttavia riduttivo. Grazie allo sviluppo tecnologico, le rinnovabili sono una opzione competitiva e conveniente. Ciononostante, la loro diffusione risulta tuttora sottodimensionata rispetto ai target europei. Il problema non è solo finanziario, ma regolatorio. Definire un quadro istituzionale e legislativo chiaro, coerente e tempestivo rappresenta un elemento cruciale alla transizione energetica. Una transizione che deve necessariamente guadagnarsi il consenso sociale delle comunità locali.