Nella seconda metà degli anni ’80 nasce il Groupe de recherche européen sur les milieux innovateurs (GREMI) con lo scopo di studiare il ruolo dello spazio nel processo di innovazione. Roberto Camagni, insieme a Philippe Aydalot, è uno dei fondatori del GREMI.
In un momento in cui la maggior parte della letteratura, in particolare in Italia, si concentra sullo studio dei distretti industriali come agglomerazione spaziale di piccole e medie imprese specializzate in industrie tradizionali come il tessile, l’abbigliamento e le calzature, Camagni, ispirato da quello che stava accadendo nella Silicon Valley, studia i cluster di imprese high tech in giro per l’Europa, indagando le circostanze che favoriscono il loro sviluppo in relazione all’esperienza americana di Palo Alto e San José (Camagni, 1991).
Enfatizzando il ruolo dei territori nel generare processi di innovazione e apprendimento collettivo, Camagni, e il gruppo GREMI, introducono nella letteratura il concetto di milieu innovateur. Roberto definisce il milieu innovateur come un operatore volto a ridurre l’incertezza e la complessità del processo di innovazione, supportando le imprese in funzioni chiave come la ricerca e la selezione delle informazioni. Un aspetto innovativo del concetto di milieu innovateur è l’enfasi sul territorio come sistema aperto, nel quale la presenza di canali di accesso alla conoscenza esterna rappresenta una condizione essenziale per l’innovazione e per l’evoluzione del sistema territoriale.
Negli anni ’90 la maggior parte della letteratura sui distretti industriali si concentra sull’importanza dell’effetto distrettuale interno che consente alle imprese dei distretti di beneficiare di economie esterne all’impresa ma interna ai distretti, rappresentate dalla disponibilità locale di conoscenza, tecnologia, manodopera qualificata e fornitori specializzati. In quegli stessi anni, anticipando molti dei cambiamenti più recenti avvenuti nei distretti industriali, con la comparsa delle multinazionali e l’inserimento nelle catene globali del valore, nei suoi contributi Camagni sottolinea la necessità di aprire il territorio alla conoscenza esterna per evitare la morte entropica e il declino della capacità innovativa, attraverso il rafforzamento delle reti di imprese (Camagni 1995).
L’interesse sulle reti di imprese è un altro brillante contributo di Camagni alla comprensione dell’evoluzione dei cluster. Il ruolo svolto dal networking interaziendale attraverso joint venture, alleanze strategiche e, più recentemente, il coinvolgimento nelle catene globali del valore è fondamentale per spiegare le dinamiche più recenti che si verificano nei cluster di tutto il mondo. Come detto, la letteratura sui distretti si concentra principalmente sulle economie esterne che sono un sottoprodotto non intenzionale dell’agglomerazione, mentre Camagni sottolinea come gli effetti di networking che risultano da comportamenti cooperativi espliciti e volontari, siano cruciali per la competitività dei cluster.
L’importanza dell’accesso alla conoscenza esterna è confermata anche empiricamente in uno studio sui distretti calzaturieri italiani, che Roberto ed io abbiamo intrapreso nel 1997, sempre nell’ambito del GREMI (Camagni e Rabellotti, 1997). In quel lavoro, viene sottolineato che la resilienza in un sistema economico sempre più globalizzato è più comune quando ci sono aziende leader che investono nella creazione di collegamenti esterni alla ricerca di risorse complementari come marketing, branding, know-how e capitale finanziario che scarseggiano a livello locale. Allo stesso tempo, queste aziende leader mantengono legami forti con il territorio, coordinando reti di fornitori, acquistando localmente gran parte dei loro componenti e sfruttando la forza lavoro qualificata disponibile localmente.
I contributi di Camagni sullo sviluppo dal basso e l’introduzione nella letteratura del milieu innovateur sono la vivida testimonianza della sua capacità di comprendere i fenomeni economici e territoriali nella loro complessità ed evoluzione dinamica, anticipando cambiamenti e sfide che i distretti italiani e i cluster a livello globale si sono trovati ad affrontare diversi anni dopo. Su questo tema, come su molti altri affrontati in questo numero speciale a lui dedicato, Roberto ha lasciato una importante eredità teorica ed empirica alle generazioni di studiose e studiosi che ha contribuito a formare, ma soprattutto ha trasmesso loro l’importanza di spingersi out-of-the-box.
Ulteriori approfondimenti
- Camagni R. (1991), Technological change, uncertainty and innovation networks: towards a dynamic theory of economic space. In: Boyce D., Nijkamp P., Shefer D. (eds.), Regional Science: Retrospect and Prospect. Berlin: Springer-Verlag. 211-249.
- Camagni R. (1995), The concept of innovative milieu and its relevance for public policies in European lagging regions. Papers in Regional Science, 74, 4: 317-340.
- Camagni R., Rabellotti R. (1997), Footwear production systems in Italy: a dynamic comparative analysis. In: Ratti R., Bramanti A., Gordon R. (eds.), The dynamics of innovative regions, GREMI. Aldershot: Ashgate. 139-164.