La sensibilità per l’articolazione spaziale dei fatti economici è sempre stata forte in Roberto, che ha dedicato una particolare attenzione alla dimensione urbana dell’economia, affrontata sia nei suoi meccanismi interni sia nel più vasto campo delle relazioni interurbane.
Il cuore di questa preferenza analitica per l’urbano ha sempre incessantemente ruotato intorno allo studio dell’agglomerazione spaziale, nei suoi effetti alla scala locale e a quella sovralocale. Proprio con riferimento a questa seconda dimensione, nei primi anni Novanta l’attenzione di Roberto si concentra su un fenomeno allora relativamente nuovo, quello della formazione delle reti di città, che oggi includiamo nel più ampio upscaling dei processi urbanizzativi. Rispetto ad altre prospettive analitiche, tuttavia, la novità dello sguardo consisteva nell’osservare non solo i processi di metropolizzazione, cioè il salto di scala dell’urbanizzazione, ma anche i fenomeni, allora assai poco approfonditi e misurati, dell’articolazione policentrica e reticolare degli spazi regionali.
Insieme ad alcuni allora giovani collaboratori, con largo anticipo sul dibattito italiano e in coincidenza temporale con la ricerca internazionale, Roberto introduce la questione provando non solo a individuare quelle strutture territoriali che, con gradi di complessità differenti, rappresentano la frontiera di questo cambiamento spaziale, ma costruendo contemporaneamente un quadro teorico utile non solo a spiegare quei processi ma, in un certo senso, anche ad anticiparne la futura manifestazione in aree caratterizzate da meccanismi evolutivi più lenti.
Il lavoro sulle reti di città prende corpo nel 1992, all’interno di un ambizioso studio lanciato dall’IReR, l’allora istituto di ricerca regionale lombardo, che nel corso degli anni Ottanta aveva già promosso l’imponente programma di studi Progetto Milano. Quest’ultimo aveva rappresentato un’autentica svolta nelle pratiche di ricerca in ambito milanese e un unicum all’interno del dibattito scientifico e politico in merito alle trasformazioni territoriali prodotte dall’incipiente globalizzazione.
Sull’onda di quel vasto programma di studi, particolarmente ricco di contributi innovativi nel campo dell’economia urbana, si svolse a Milano nel 1989 un convegno cui prese parte la componente teoricamente più fertile della ricerca universitaria interdisciplinare su temi urbani, da cui scaturì nel 1990 un volume curato da Fausto Curti – allievo di Roberto – e Lidia Diappi dal titolo “Gerarchie e reti di città: tendenze e politiche”, in cui Roberto offre una prima teorizzazione delle reti di città (Curti e Diappi, 1990).
Lì prende corpo in modo già maturo l’intuizione di Roberto sulla necessità di allargare lo sguardo sui processi di espansione degli effetti metropolitani, inglobando quella che oggi chiameremmo la regionalizzazione dell’urbano, e che allora venne essenzialmente vista come la formazione, o il rafforzamento, di un’articolata rete di sistemi urbani innervati buona parte del territorio del Nord Italia (IReR, 1993). Questi punti saranno al centro di ulteriori sviluppi teorici ad opera di Roberto e del suo gruppo che, grazie anche a pubblicazioni di risonanza internazionale, porteranno il tema nel più vasto dibattito sugli effetti urbani della globalizzazione (Camagni, 1993; Camagni e Salone, 1993).
Quali erano le principali novità contenute in questa inedita prospettiva analitica?
In primo luogo, essa proponeva il superamento della visione meccanicistica del ciclo di vita urbano, fino ad allora considerato come contrassegnato da stadi di progressiva complessità e crescita dimensionale verso l’inevitabile raggiungimento della dimensione metropolitana – sotto l’effetto delle forze dell’agglomerazione economica – e fasi di suburbanizzazione e disurbanizzazione. Queste erano lette essenzialmente attraverso le lenti del dualismo core-ring. La ricerca guidata da Roberto mostrava però che altri sviluppi spaziali erano possibili, se solo si fossero saputi riconoscere i segnali dell’esistenza di strutture reticolari latenti o già formate, nelle quali cercare di misurare l’eventuale estensione di un campo di esternalità allargato alla rete.
In secondo luogo, la ricerca restituiva un’immagine inedita del Nord Italia, in una fase in cui gli studi sulle economie e le società distrettuali della Terza Italia avevano già decretato la fine dell’interpretazione dualistica dello sviluppo economico e spaziale italiano. Quest’immagine rompeva lo schema del Triangolo industriale, sottraendo dal cono d’ombra dei poli metropolitani– Milano, Torino e Genova – le aree di urbanizzazione diffusa e il policentrismo di città medie che costellavano a sud di Torino il pedemonte cuneese (come raccontavano i lavori della geografia urbana torinese, con la quale il dialogo era molto stretto) e, a nord e a est di Milano, il policentrismo lombardo.
Il terzo punto d’innovazione era rappresentato dall’idea, piuttosto inusuale anche per l’approccio da economista che, comunque, connota in modo inequivoco la sua postura intellettuale, che i costi della concorrenza potessero essere ridotti grazie alla logica reticolare nell’organizzazione dell’impresa e alla cooperazione nella struttura delle relazioni tra sistemi urbani, in particolare in quei settori dei servizi avanzati in cui l’efficienza viene garantita non dalle sole economie di scala o dall’integrazione funzionale, bensì anche e soprattutto da esternalità di rete (Capello, 2000).
Una quarta novità, infine, direttamente connessa con la precedente, investiva il campo delle politiche territoriali: per rendere più efficiente la ‘spontanea’ divisione del lavoro nei diversi tipi di rete urbana stilizzate – le reti di complementarità, le reti di sinergia e le reti di innovazione – si rendeva necessario uno sforzo progettuale profondo nella pianificazione, con un’enfasi inedita sulla dimensione strategica, un terreno sul quale Roberto si sarebbe mosso con rapidità negli anni successivi, sia sul piano teorico che su quello della partecipazione attiva a concrete esperienze di piano.
Il paradigma reticolare, termine con cui un po’ enfaticamente chiamavamo la teoria delle reti di città, ebbe una discreta fortuna nel campo delle scienze regionali e della geografia urbana: contemporaneamente e successivamente alla pubblicazione della ricerca IReR, uscirono alcuni articoli e contributi editoriali che approfondiranno i diversi aspetti del fenomeno, portando anche a ridefinire la teoria, per esempio nella misurazione delle esternalità di rete, identificate come economie di scala connesse alla complementarità e sinergie di cooperazione tra poli urbani interconnessi.
Negli ultimi anni, dopo un periodo di relativo disinteresse nell’ambito del dibattito internazionale, i lavori sulle reti urbane stanno conoscendo un notevole rilancio, soprattutto grazie al numero crescente di contributi che arrivano da paesi come la Cina, che sperimentano una fase di rapida e complessa articolazione del fenomeno urbano non solo in termini dimensionali, ma anche sotto il profilo dei pattern organizzativi. Questo lo si può vedere nella presenza costante dei lavori di Roberto nelle bibliografie di molti articoli recenti, che dimostra la validità di quell’intuizione e la forza della struttura teorica che ne è derivata, di cui Roberto è stato il primo artefice.
Ulteriori riferimenti
Camagni, R. (1993) From city hierarchy to city networks: Reflection about an emerging paradigm, in: T. Lakshmanan & P. Nijkamp (Eds) Structure and Change in the Space Economy: festschrifts in Honour of Martin Beckmann, pp. 66–87 (Berlin, DE: Springer-Verlag)
Capello, R. (2000). The city network paradigm: measuring urban network externalities. Urban Studies, 37(11), 1925-1945.
Curti, F., & Diappi, L. (1990). Gerarchie e reti di città: tendenze e politiche, Milano, Angeli.
IReR (1993), Le reti di città. Teoria, politiche e analisi nell’area padana, Milano, Angeli.