L’Emilia-Romagna è la regione italiana che, assieme alla Lombardia, ha meglio reagito al cambiamento di scenario imposto dall’economia della conoscenza, rimanendo un territorio competitivo anche in assenza di grandi concentrazioni metropolitane. Tra 2014 e 2019 il valore aggiunto regionale è cresciuto del 7.5%, il numero di occupati ha superato i 2 milioni, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 4.8%, il valore più basso in Italia dopo il Trentino-Alto Adige. Anche l’andamento dei valori immobiliari di Bologna, gli unici a tenere testa a Milano negli ultimi cinque anni, conferma la capacità attrattiva di quest’area.
Alla base del nuovo impulso economico dell’Emilia-Romagna vanno in particolare segnalati tre aspetti: 1) la messa a punto di una governance partecipata e aperta ai diversi soggetti pubblici operanti nel territorio regionale; 2) l’attivazione di ingenti investimenti nell’ambito della scienza e della tecnologia, anche attraverso l’impiego efficace di fondi europei; 3) la cooperazione tra il settore pubblico e quello privato, con il diretto coinvolgimento delle imprese leader della regione.
Ciò che colpisce maggiormente è la capacità di questo territorio di far leva sulle proprie competenze specifiche per avviare percorsi di crescita innovativa e sostenibile. I distretti produttivi presenti in questa regione hanno superato il modello di produzione integrata su scala locale per diventare cluster di innovazione di classe mondiale. Questo upgrading non è avvenuto seguendo la logica ben conosciuta nel capitalismo anglosassone, ovvero tramite la sostituzione di attività manifatturiere con attività terziarie, bensì integrando produzione e servizi attraverso l’evoluzione dei modelli di business, come nel caso delle strategie di servitization. In altre parole, le filiere tradizionali dell’Emilia-Romagna hanno saputo riposizionarsi nelle catene globali del valore, andando ad occupare funzioni economiche a maggior valore aggiunto come il design, la ricerca e sviluppo, la progettazione e la distribuzione. Senza tuttavia perdere il contatto con le operations manifatturiere, che a loro volta si sono riqualificate in termini di sviluppo tecnologico e organizzativo.
All’interno di questa traiettoria evolutiva, un ruolo fondamentale è svolto dalle imprese leader delle filiere attive sul territorio: multinazionali regionali di fama internazionale operanti nel settore del packaging (Coesia), della meccanica (Bonfiglioli), dell’automotive (Ferrari), del wellness (Technogym) e dell’ingegneria edile (Focchi). È stato proprio attorno ad un nucleo forte di imprese leader regionali che si sono sviluppati i processi di upgrading territoriale, i quali richiedevano nuove competenze tecnico-scientifiche, investimenti in tecnologie digitali e strategie per la sostenibilità ambientale.
Al centro dello sviluppo industriale regionale vi sono dunque alcuni elementi cardine: la presenza di imprese leader che operano come knowledge integrator (Buciuni e Pisano, 2018), mettendo a sistema con il territorio una serie di conoscenze e tecnologie reperite in ambito globale attraverso il presidio diretto del mercato; la capacità di tali imprese di aprirsi a collaborazioni con scuole tecniche e università per la formazione di personale aderente alle nuove esigenze delle imprese; un sistema finanziario regionale alimentato da investimenti pubblici e privati capace di fornire “capitali pazienti” all’industria. L’assenza di gravi crisi bancarie, come quelle delle banche popolari in Veneto, ha potuto garantire la continuità nella gestione economico-finanziaria delle imprese in un momento di cambiamenti strutturali, fornendo, grazie al radicamento al territorio, risorse orientate non solo alle singole aziende, ma anche a generare esternalità positive lungo le filiere locali.
Inoltre, un contributo importante nell’iniezione di nuove competenze e tecnologie industriali è arrivato dalla crescente presenza di gruppi multinazionali esteri. Un caso da manuale è stato il settore automotive, che vede nella Motor Valley il suo epicentro produttivo e innovativo. Negli ultimi quindici anni si è assistito a una serie di investimenti strategici provenienti da oltre frontiera: dopo la famosa acquisizione di Ducati da parte di Lamborghini, a sua volta controllata dal gruppo Audi-Volkswagen, negli ultimi anni gli investimenti stranieri si sono spostati verso il settore dell’auto elettrica, contribuendo ad avviare quel cambiamento strutturale dal quale l’Italia rischia altrimenti di rimanere esclusa. Oltre a garantire occupazione a livello territoriale, la decisione delle joint venture internazionali di investire sul territorio ha abilitato un processo vitale di trasferimento tecnologico, facilitando in questo senso il continuo upgrading di un’industria che rimane strategica per le economie avanzate.
Tuttavia, investimenti diretti esteri e partecipazione a complesse catene di fornitura globali non esauriscono le ragioni del successo industriale di questa regione. Una fondamentale leva di innovazione è stata fornita anche dal sistema educativo tecnico e dalle università. L’aggiornamento continuo delle conoscenze e delle competenze industriali è infatti arrivato dalla costituzione di MUNER (Motor-vehicle University of Emilia-Romagna), embrione di un Politecnico regionale dedicato al settore automotive. MUNER nasce nel 2017 attraverso la partnership con i principali atenei regionali e con imprese private quali Lamborghini, Ferrari, Ducati e Dallara, offrendo oggi due corsi di laurea in Advanced Automotive Engineering e Advanced Automotive Electronic Engineering, testimoniando l’investimento strategico dell’intero comparto industriale negli ambiti dell’industria 4.0 e del trasporto elettrico. Come avvenuto negli ecosistemi di Galway e del Research Triangle Park, anche in Emilia-Romagna l’upgrading dell’economia locale sembra seguire un modello ben definito, composto da imprese multinazionali straniere e internazionali e collaborazione tra imprese e università locali a supporto della formazione di personale qualificato e dello sviluppo di ricerca applicata.
Ulteriori approfondimenti
Giulio Buciuni & Gary Pisano, 2018. “Knowledge integrators and the survival of manufacturing clusters,” Journal of Economic Geography, Oxford University Press, vol. 18(5), pages 1069-1089.