8 Settembre, 2024

Cosa possiamo plausibilmente intendere quando invochiamo la “giustizia spaziale”

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Il concetto di “giustizia spaziale” è oggi largamente impiegato, persino troppo. Il diffuso interesse per il tema della giustizia spaziale si è sviluppato parallelamente al cosiddetto “spatial turn” (ossia, una rinata attenzione alla dimensione spaziale delle attività umane che si è accesa in molte discipline: Warf e Arias, 2008). La nozione di giustizia spaziale è solitamente ritenuta decisiva per un cambiamento radicale delle politiche urbane e della pianificazione. Tuttavia, non esiste una definizione univoca di giustizia spaziale (Brown et al., 2019). Probabilmente perché tale concetto è entrato nel dibattito (come spesso accade) senza fare preliminarmente chiarezza su alcune questioni di base.
Scopo di questa breve nota è proporre una rivisitazione dell’idea stessa di “giustizia spaziale”; indirettamente, si riconsidererà anche che cosa sia e possa essere lo “spatial turn”.
Un punto preliminare cruciale è il seguente: la giustizia – e in particolare la giustizia sociale – riguarda il modo in cui le istituzioni pubbliche trattano le persone (Moroni, 2020). Le istituzioni pubbliche sono quindi il soggetto primario della giustizia (Rawls, 1971). Ed è così perché le istituzioni statali a vario livello – nazionale, regionale, locale – rivendicano un diritto esclusivo all’uso della coercizione (ad esempio, nell’introdurre regole e imporre tasse). La questione della giustizia è perciò, prima di tutto, la questione del “potere” (pubblico, in particolare).
In quest’ottica, lo spazio in sé non può essere oggetto di giustizia o ingiustizia. Lo spazio non è giusto o ingiusto. Questioni di giustizia riguardano sempre il modo in cui le istituzioni agiscono (o omettono di agire) nei confronti delle persone. Come già chiaramente riconosceva Gordon Pirie (1983), in uno dei primi lavori a utilizzare sistematicamente la nozione di giustizia spaziale: “Le questioni di giustizia sorgono solo in relazione alle circostanze o al trattamento di esseri senzienti; chiaramente, lo spazio in sé non appartiene a questa categoria”. Aggiungeva Pirie (1983): “l’aggettivo ‘spaziale’ denota il contesto del concetto e non il contenuto del concetto”.
Pertanto, la giustizia spaziale non è una sorta di sostituto della (o un’alternativa alla) giustizia sociale. Il sintagma “giustizia spaziale” può essere piuttosto interpretato come una sorta di “espressione compressa” – una “espressione abbreviata” – per identificare questioni di giustizia sociale (ossia questioni riguardanti i modi giusti o ingiusti in cui le istituzioni pubbliche trattano le persone) connesse con lo spazio. Questa conclusione è simile all’idea di Peter Marcuse (2010) secondo cui quello di giustizia spaziale non è altro che un concetto “derivativo” (non “fondativo”).
Se parliamo dell’ingiustizia di certe situazioni urbane – ad esempio, l’iniqua distribuzione di certi servizi di base tra varie aree di una città, l’inaccessibilità di certi spazi pubblici per alcune categorie di cittadini o la situazione di degrado e segregazione in cui certe aree versano – stiamo assumendo implicitamente che ciò è ingiusto in realtà sono le istituzioni urbane che (i) hanno permesso (o, addirittura, inteso) che tali situazioni si verificassero e/o (ii) non intervengono per cambiarle. Le istituzioni pubbliche urbane possono essere perciò responsabili di certe situazioni sia per commissione sia per omissione.
In questo senso, abbiamo questioni di “giustizia spaziale” perché gli esseri umani hanno un corpo e, quindi, per fare qualsiasi cosa devono stare in qualche luogo (occupando/usando a qualche titolo, in modo permanente o temporaneo, qualche tipo di struttura fisica); inoltre, per muoversi, ad esempio per raggiungere un certo sito o servizio, devono passare (con o senza l’ausilio di mezzi) attraverso una successione di spazi. Aspetti, questi, di cui le istituzioni pubbliche non possono non tenere conto.
Si noti che le teorie tradizionali della giustizia sociale (ad esempio Rawls, 1971) sono principalmente teorie di livello costituzionale. Quindi (con buona pace di Dikeç, 2001 e tanti altri), non c’è alcunché di strano nel fatto che le teorie della giustizia sociale di solito non discutono direttamente questioni spaziali, che sono più rilevanti a livello post-costituzionale (soprattutto a livello locale).
Sviluppi e integrazioni di prospettive di giustizia sociale che prendano più direttamente in considerazione anche questioni post-costituzionali, e, quindi, anche questioni spaziali (locali), sono più che benvenuti (Moroni, 2023). Tuttavia, questo non è un modo per confutare o addirittura sovvertire quelli che sono ritenuti (spesso e a torto) approcci alla giustizia eccessivamente e intrinsecamente astratti. È, semplicemente, un utile arricchimento.
Si noti anche che l’espressione “giustizia sociale” è stata introdotta non per porre l’attenzione sul sociale in sé e per ignorare il resto (ad esempio, lo spazio), ma, semplicemente, per differenziare certe questioni etiche di giustizia da quelle più tipiche della mera “giustizia legale”.
In conclusione, credo non sia un “declassamento” della nozione di giustizia spaziale interpretarla nel modo suggerito (come alcuni sembrano invece ritenere supponendo che porre l’attenzione sulla “giustizia spaziale” implichi molto di più: Philippopoulos-Mihalopoulos, 2010). Né penso che questo non sia abbastanza radicale. È tanto radicale quanto teoricamente e pragmaticamente può essere.
Il punto qui non è se lo spazio sia considerato o meno un “mero contenitore”. Possiamo facilmente convenire che lo spazio non è un mero contenitore, cioè un amorfo sfondo delle attività umane. E possiamo facilmente concordare sul fatto che lo spazio è in relazione reciproca (anche causale) con altri aspetti (ad esempio, sociali ed economici). Ciò nonostante, le discussioni sulla giustizia sono un modo particolare di valutare la condizione umana e possono includere lo spazio solo in certe forme.
Uno “spatial turn” credibile e praticabile consiste quindi nel tentativo di prendere in considerazione seriamente e sistematicamente lo “spazio (geografico)” in vari campi, filosofia politica compresa. Tuttavia, ciò non implica necessariamente una rivoluzione epistemologica ma, semplicemente (e, tuttavia, non banalmente), un’integrazione cruciale delle nostre prospettive esplicative e normative.

Figura 1 – Rocinha, Rio de Janeiro (2019) @ Anita De Franco

Approfondimenti

  • Brown K.M., Flemsæter F., Rønningen K. (2019), More-than-human geographies of property: Moving towards spatial justice with response-ability. Geoforum, 99: 54-62.
  • Marcuse P. (2010), Spatial justice: derivative but causal of social injustice. In: Bret B., Gervais-Lambony P., Hancock C., Landy F. (eds.), Justices et injustices spatiales. Paris: PUF, 76-92.
  • Moroni S. (2020), The just city. Three background issues: Institutional justice and spatial justice, social justice and distributive justice, concept of justice and conceptions of justice. Planning Theory, 19, 3: 251-267.
  • Moroni S. (2023), What can urban policies and planning really learn from John Rawls? A multi-strata view of institutional action and a canvas conception of the just city. Planning Theory, 22, 4: 404-425.
  • Philippopoulos-Mihalopoulos A (2010), Spatial justice: law and the geography of withdrawal. International Journal of Law in Context, 6, 3: 201-216.
  • Pirie G.H. (1983), On spatial justice. Environment and Planning A, 15, 4: 465-473.
  • Warf B., Arias S. (eds.) (2008), The Spatial Turn: Interdisciplinary Perspectives. London: Routledge.

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