L’approvazione in Senato del Disegno di Legge sull’Autonomia Differenziata, in attuazione dell’Art. 116 terzo comma della Costituzione, è di pochi giorni fa. Nonostante la puntualità del dettato e la sua concretezza, non pochi sono i punti da approfondire della proposta.
1.
La riforma assume tra i suoi punti fondamentali la garanzia di livelli di servizi minimi uniformi sul territorio (Lep), in tutte le materie e per tutte le regioni. La norma principale del Decreto riguarda, dunque, l’adesione (non scontata) al dettato federalista originario, subordinando così il processo all’applicazione di quel federalismo ancora incompiuto, che più correttamente ne dovrebbe essere la premessa (Ld. 42/2009). Anche all’interno di interventi mirati a introdurre differenze tra regioni, obiettivo dichiarato della politica nazionale è comunque di mantenere una uniformità di trattamento dei cittadini, garantendo la copertura dei fabbisogni standard in tutto il paese, dati dai livelli essenziali delle prestazioni remunerati a costo standard quali “costi di riferimento”.
Garantire i Lep è però un obiettivo costoso. Infatti, l’offerta di servizi essenziali al territorio è un intento molto ambizioso date le risorse ordinariamente stanziate, mentre assicurare i Lep solo per alcune regioni costituirebbe una condizione di iniquo vantaggio per queste ultime. Cosa succede, dunque, quando le risorse disponibili non sono tali da coprire i fabbisogni così definiti? In questo caso, ci si troverebbe nell’alternativa di non garantire i servizi in tutto il territorio o di non coprire i costi relativi alla loro offerta. Questo scenario non è improbabile, se si pensa al caso della sanità, per la quale l’ammontare di risorse disponibile per le regioni è stabilito in legge di bilancio e l’applicazione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) subentra solo nella fase di monitoraggio dell’offerta. Situazioni analoghe si ritrovano in altre contesti, come ad esempio quello del diritto allo studio universitario. Anche in questo caso, le risorse che lo stesso Ministero stima necessarie sono superiori a quelle effettivamente corrisposte, cosicché le regioni sono chiamate ad intervenire e lo fanno in maniera differenziata, sulla base delle priorità politiche dei governi locali e delle diverse possibilità dei territori di far fronte ai bisogni grazie a risorse proprie. Il possibile second best di utilizzare i Lep nel momento del riparto del budget tra regioni, calando i tagli su ognuna di queste proporzionalmente, non è neutrale, dal momento che non tutte potranno chiedere ai propri cittadini in egual misura eventuali integrazioni alle risorse mancanti.
2.
L’applicazione dei Lep alle materie individuate dalla Commissione Cassese (non tutte le materie oggetto di autonomia) comporterebbe quindi il superamento della spesa storica, a favore delle aree dove il servizio è più carente o i costi dell’offerta sono inferiori. Su questo punto intervengono, però, le clausole finanziare previste nell’Art 8 del DDL, che richiamano l’invarianza di bilancio pubblico e l’invarianza delle risorse assegnate alle singole regioni non aderenti ai patti. È evidente che il rispetto di questa duplice condizione annulla i margini di intervento finanziario, di fatto rendendo possibile esclusivamente l’applicazione del criterio della spesa storica. Per rispettare le condizioni poste, infatti, l’ipotesi più plausibile sembra essere quella di un semplice trasferimento di risorse dallo Stato alle Regioni: in questo modo cambierebbe solo l’ente cui spettano la responsabilità dell’offerta di servizi e le corrispondenti risorse (nella tabella si riportano a scopo puramente indicativo gli importi della spesa regionalizzata nell’ambito dell’istruzione, che rimarrebbero invariati). Dunque, se le amministrazioni decentrate si rivelassero, rispetto allo Stato, effettivamente capaci di garantire migliori servizi con gli stessi importi, come affermato da quante richiedono l’autonomia, esse sarebbero anche in grado di rispondere meglio alle richieste dei propri cittadini. Nello stesso tempo, poter contare su una elevata base imponibile locale e/o una disponibilità a pagare da parte dell’utenza dei servizi offerti sarebbe certamente un fattore di flessibilità.
Spesa statale regionalizzata (milioni di euro)
SPESA PER PERSONALE ISTRUZIONE 2021 | SPESA TOTALE ISTRUZIONE 2021 | |
Emilia Romagna | 2.038 | 3.385 |
Lombardia | 4.353 | 6.522 |
Veneto | 2.205 | 3.323 |
Altre regioni che non richiedono autonomia | 22.056 | 32.448 |
Italia Spesa Statale Regionalizzata | 30.653 | 45.680 |
Spesa Statale Totale | 46.292 | 61.906 |
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Se, quindi, al di là dei presupposti iniziali e delle tante dichiarazioni mediatiche, gli spazi di manovra sulle risorse finanziarie sembrano marginali, la richiesta di autonomia potrebbe diventare pregnante nel campo della programmazione e dell’amministrazione del personale, al fine di introdurre flessibilità dei modelli organizzativi e di gestione. Le ripercussioni in questo ambito possono non essere trascurabili, se si pensa alle dimensioni e all’importanza della scuola o della sanità.
Numero e durata delle supplenze nella scuola per regione | ||||
Regione | Totale supplenze | % supplenze annualisul totale | % supplenti sudocenti totali | % supplenti di età fino a 34 anni |
EMILIA ROMAGNA | 18.695 | 30% | 41% | 38% |
LOMBARDIA | 44.362 | 40% | 46% | 44% |
VENETO | 18.976 | 41% | 38% | 40% |
ITALIA | 234576 | 28% | 33% | 32% |
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3.
Sempre sul piano finanziario, nella stessa direzione si inserisce anche la norma del DDL che indica nelle compartecipazioni lo strumento per finanziare l’autonomia delle regioni, assecondando l’aspettativa delle tre regioni di mantenere nei propri territori parte dei prelievi. L’applicazione di questa disposizione richiede di individuare una aliquota di compartecipazione congrua con l’importo della spesa (storica), e quindi pari alle risorse già impegnate dallo Stato sugli stessi territori. In questo modo si favorirebbe, a parità di risorse, una più diretta corrispondenza, almeno formale, tra prelievo e spesa. Al contrario, implicazioni più sostanziali si avrebbero nel caso in cui si prevedessero margini di manovra delle aliquote, sulle quali certamente la ricchezza dei territori ha un peso. Il sistema di monitoraggio e la ridefinizione annuale dei budget dovrebbe garantire infine la partecipazione di tutte le regioni agli obiettivi di finanza pubblica.
4.
Il modello federalista si basa su due principi strettamente collegati: quello della equa soddisfazione dei bisogni sul territorio e quello della responsabilità fiscale. Va dunque ricordata l’incongruenza di un processo di autonomia basato sui trasferimenti, mentre in parallelo il progetto di riforma fiscale segue un percorso opposto, di impoverimento dell’autonomia fiscale regionale, fino ad oggi basato sull’Irap. In questo senso si può interpretare, e non può passare inosservata, la scarsa attenzione riservata dal DDL al tema della perequazione, che pure costituisce un asse fondamentale di ogni autonomia.