Il tema casa sta acquistando sempre più uno spazio importante nel dibattito politico che si concentra sulle diverse dimensioni del fenomeno e cioè sulla progressiva riduzione di patrimonio pubblico, sull’articolazione della domanda che restituisce una fascia grigia costantemente in aumento, cosi come quella dei soggetti vulnerabili, ma anche sulla necessità di avviare modelli gestionali e progettualità innovative per un ripensamento del bene collettivo casa. Per questo servono politiche abitative capaci di proporre strategie di intervento che propongano soluzioni articolate rispetto ai bisogni e alla domanda sociale mutata, e quindi economicamente accessibili.
La casa è un diritto, questo è quanto affermano le numerose manifestazioni che nell’arco dell’ultimo anno hanno coinvolto soggetti diversi, dagli studenti che con le loro tende hanno manifestato davanti alle Università pubbliche rivendicando un diritto allo studio che passa anche attraverso un diritto all’abitare, agli inquilini che hanno chiesto uno stop agli sfratti. Sì, la casa è un diritto, sancito da accordi internazionali ma non completamente tutelato.
Da decenni, infatti, le politiche pubbliche si sono quasi completamente disinteressate del tema casa, anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha solo marginalmente affrontato il problema e destinato risorse su progetti specifici, e le scelte dell’attuale Governo, ad esempio, non sono andate incontro a misure volte ad arginare la precarietà abitativa. Nella legge di bilancio del 2023 azzera i fondi del contributo affitto e morosità incolpevole che hanno lo scopo di sostenere le famiglie in affitto e che si trovano in condizione di povertà relativa. Un ammortizzatore sociale che per quanto insufficiente è stata l’unica misura utilizzata nel settore delle locazioni, si conta che siano stati erogati fondi a circa 400.000 famiglie.
Ma la questione abitativa è parte del dibattito pubblico e anche dell’agenda politica del Ministero le infrastrutture e dei trasporti (MIT) che dichiara l’avvio a partire dal 2025 di un Piano Casa che ha l’obiettivo di semplificare la normativa e definire modelli di edilizia residenziale pubblica e sociale attraverso il tavolo tecnico.
Il Piano si propone di attivare azioni sperimentali e progetti pilota, di valorizzare gli immobili pubblici inutilizzati o dismessi attraverso progetti di recupero e riconversione in strutture di social housing per far fronte alla domanda abitativa compresa quella proveniente da studenti e lavoratori, e infine di costruire collaborazioni e partenariati tra soggetti pubblici e privati. Il “Piano Casa” sarà operativo dal 2025 e prevede un investimento di almeno 100.000.000 € destinati a finanziare il recupero del patrimonio esistente, la conversione a destinazione residenziale di edifici quali caserme o ospedali non più operativi ma anche l’intervento su immobili privati.
Alle azioni del Governo si affiancano altre azioni di carattere istituzionale e non, che testimoniano della centralità del problema e della necessità di politiche multi-scalari e multi-attoriali tra i diversi soggetti coinvolti.
“Un nuovo piano nazionale per il diritto alla casa” (2023) è stato elaborato anche dal Partito Democratico e tradotto in un documento nel quale viene data priorità all’investimento sul patrimonio residenziale pubblico e al rilancio del fondo per il sostegno all’affitto e per la morosità incolpevole, per garantire cioè il diritto di tutti ad avere una casa ma anche una qualità più complessiva degli spazi dell’abitare. Il diritto alla casa infatti contiene in sé anche un diritto ai servizi e allo spazio pubblico qualificati. Diritto alla casa e diritto all’abitare questo è l’approccio con il quale affrontare la nuova domanda di abitare.
Diverse le azioni proposte e da compiere per andare in questa direzione a partire dalla costituzione di un osservatorio sulle politiche abitative di scala nazionale attraverso il quale monitorare costantemente l’utilizzo del patrimonio esistente ma anche individuare domande e bisogni perché le politiche abitative devono essere articolate e multi-scalari: l’intervento pubblico deve cioè costruire un sistema capace di intercettare i diversi livelli di interesse e responsabilità per definire un nuovo patto multi-attoriale tra i diversi soggetti pubblici, il mondo cooperativo, il privato sociale e il privato in genere.
Questo ci porta a dire che è necessario differenziare i modelli abitativi e trovare soluzioni abitative diverse che vanno dall’ERP alle più articolate forme di ERS e che possono intercettare una domanda molto mutata. Parliamo di famiglie inscrivibili nella fascia del bisogno, ma anche persone che hanno un lavoro che non si possono definire povere ma che non si possono comunque permettere una casa sul mercato libero. Bisogna quindi intervenire per aumentare l’offerta di alloggi pubblici anche riutilizzando il patrimonio pubblico esistente ma sotto-utilizzato o non utilizzato, e parallelamente intervenire sull’uso del suolo pubblico, operazione che consentirebbe di calmierare i prezzi di realizzazione.
La questione abitativa va senza dubbio affrontata in primis a partire dagli interventi sopra descritti e sullo stock abitativo pubblico ma senza dimenticare che è necessario intervenire anche nel settore privato e specificatamente sul tema degli affitti nel mercato privato. Questione tuttora poco dibattuta ma che risulta essere centrale per completare il quadro degli interventi sul tema dell’abitare, e che va tradotta proponendo di intervenire sulla stabilizzazione degli affitti attraverso contratti di lunga durata, nonché sul limite del costo degli affitti che non possono aumentare a dismisura e senza alcuna regolazione.
Garantire un alloggio economicamente accessibile a tutti, presuppone un sistema articolato di regole e di azioni capace di far convergere verso i medesimi obiettivi soggetti e portatori di interesse diversi attraverso un’organizzazione multi-scalare.