21 Novembre, 2024

Parlare vegano: riflessioni su parole e linguaggi nel Veggie Food World

Tempo di lettura: 6 minuti

La filiera produttiva alimentare e la sua economia ci dimostrano che la scelta vegana può fare la differenza e già la fa per gli oltre 22 milioni di italiani che tutti i giorni acquistano prodotti “plant-based” (Osservatorio VeganOK, 2024). Sappiamo che aderire al mondo vegan non significa esclusivamente fare precise scelte alimentari, ma comporterebbe cambiare i propri comportamenti di consumo in modo più etico: abbigliamento, cosmesi, prodotti per la casa e mondo del tessile rientrano tra quegli ambiti commerciali in cui la produzione può orientarsi verso l’assenza di proteine o derivati animali. 

Se l’etichetta commerciale “veggie” e tutto il mondo iconico ad esso correlato sono stati effettivamente sdoganati, rimangono ancora molte resistenze da parte del mondo onnivoro rispetto soprattutto alla rappresentazione di questo universo di consumo. E ciò dipende e al tempo stesso si manifesta attraverso alcune scelte lessicali che evidenziano una precisa connotazione. Detto in altre parole, il linguaggio e i suoi usi da parte di entrambi gli “schieramenti” (sostenitori di diete vegetali e appassionati divoratori di proteine animali) mettono in evidenza come si cerchi di costruire confini o ponti per legittimare o meno questa scelta di vita (Priestley et al. 2016).

Uno studio relativamente recente (De Backer et al 2019) ha dimostrato come vi sia dietro l’integrazione sociale delle pratiche vegane a tavola una forte connotazione culturale. L’Italia rivendica un eccellente terzo posto in Europa per consumi alimentari di base vegetale e presenta una cucina sostanzialmente centrata su scelte naturalmente vegetariane (concetto non sovrapponibile) grazie alla famosa dieta mediterranea (Micalizzi, 2019).

Tuttavia, il numero di vegani “dichiarati” – ovvero coloro che si riconoscono in questa etichetta e che la usano per appellarsi – sono ancora molto pochi percentualmente, ben al di sotto del 3% (OIPA, 2024). 

L’uso dei termini è dunque ancorato a quello delle pratiche e spesso presenta delle contraddizioni. Da un lato, infatti, il mondo vegan cerca di estendere semanticamente alcune denominazioni di cibi, per tradizione preparate con proteine animali, al mondo vegetale, richiamando alcune caratteristiche estetiche ma ovviamente non il sapore. I centri deputati a stimolare l’appetito, infatti, dipendono fisiologicamente non solo dalle informazioni provenienti dallo stomaco ma anche e soprattutto da tutto ciò che passa attraverso i sensi: la vista e l’olfatto, in primis. Questo vuol dire che un burger vegetale ha tutte le caratteristiche estetiche del corrispettivo animale: tale coincidenza contribuisce anche a spostare le pratiche di consumo e avvicinare i più curiosi. 

Il mondo vegano si apre dunque in qualche modo alla cultura onnivora prendendone le denominazioni e personalizzando l’esperienza gustativa. 

Dall’altro lato, vi è una comunità onnivora più resistente -e a nostro modo di vedere meno informata – che continua a utilizzare ancora una volta il linguaggio per marcare un confine e stabilire una complementarità tra le due scelte alimentari. Le argomentazioni e le parole utilizzate sono spesso il risultato di un pregiudizio o di una misrepresentation(Priestley 2016).

Da uno studio qualitativo condotto su vegani italiani (Micalizzi, 2024) è emerso che il confine che dal punto di vista commerciale e strategico viene superato attraverso l’estensione di termini squisitamente da “onnivoro” (burger, arrosto, mayonese etc) non è altrettanto permeabile nell’individuazione di termini per definire le pratiche: i vegani oggi si devono ancora confrontare con altre forme di labelling che evidenziano chiare forme di etichettamento con finalità dispregiative (Goffman, 1987).  La ricerca, basata su interviste narrative condotte con persone che avessero aderito da almeno un anno a una dieta vegana o vegetariana, si poneva altre finalità: ricostruire le pratiche sociali e socievoli attorno alla tavola di soggetti classicamente “additati” come ospiti scomodi, difficili da gestire sul piano alimentare. Tra le evidenze inaspettate vi sono proprio i vissuti “linguistici” più subiti che agiti da parte dei vegani: accanto ai continui “processi”, sempre di stampo verbale, di motivazione delle scelte alimentari ritenute – erroneamente – non corrette e addirittura insane, gli intervistati hanno testimoniato un continuo processo di decostruzione di pregiudizi legati alla loro dieta, arricchito da precise connotazioni linguistiche. 

Tra i pregiudizi più infondati vi è quello di associare il piano alimentare vegano al verde, ovvero a una ristretta selezione di cibi vegetali, escludendo per esempio le proteine vegetali (i legumi), gli ortaggi ed anche i farinacei. L’immagine risultante imposta – più che proposta – da parte degli onnivori dell’universo vegano è di una scelta noiosa, monotona, insana e sbilanciata.

Interessante a questo proposito la testimonianza di un giovane intervistato che raccontava le criticità vissute in famiglia, soprattutto per le forti ostilità paterne che, in funzione della scelta alimentare, metteva in discussione anche la possibilità di esprimere la sua mascolinità. Ancora una volta, dal punto di vista linguistico, emerge un’associazione al campo semantico dell’attributo “vegano” alcune qualità negative come “debole”, “pallido”, “fragile”, “non virile”.

Per sintetizzare, dunque, mangiare vegano ha portato la comunità per finalità di integrazione e ancoraggio a “parlare una lingua da onnivori”. Tuttavia, per gli onnivori la stessa scelta ha significato marcare il confine denominando la comunità con etichette connotate negativamente. 

Interessante a questo proposito la scelta di espressioni come “mangiaerba”, che più intervistati hanno riproposto. Nel vissuto vegano vi è soprattutto la percezione di essere visti come i diversi, che si irrigidiscono su posizioni non biologicamente giustificate, andando contro una natura onnivora della specie. L’autorappresentazione è totalmente diversa ed evidenzia una ferma adesione a precise convinzioni ma anche una grande apertura alla convivialità e al rispetto di posizioni differenti.

Perché riflettere intorno ai termini e lavorare su di essi è così importante? Perché il dicibile definisce il pensabile e il possibile. Allora un lavoro non solo strettamente strategico – per finalità di marketing e di posizionamento dei prodotti – ma anche socioculturale e socio-linguistico può favorire l’integrazione di precise scelte alimentari nelle pratiche, ampliando i confini di una comunità, quella vegana, composta da pochi punti percentuali della popolazione. Questo perché dichiararsi vegani, come ci suggeriscono alcune etichette, ha un suo impatto sociale. 

Ai numeri crescenti potrebbe coincidere un vocabolario culinario e culturale più ampio affinché mangiare vegan possa significare anche parlare vegan. Un linguaggio specifico che stimoli curiosità e sia al tempo stesso inclusivo, co costruito tra comunità alimentari oggi poi forse non così distanti. 

Ulteriori approfondimenti

  • Bacon, L., Wise, J., Attwood, S., & Vennard, D. (2018). The language of sustainable diets: A field study exploring the impact of renaming vegetarian dishes on UK cafe menus. World Resources Institute. www. wri. org/publication/renaming-vegetarian-dishes.
  • De Backer, C., Fisher, Dare J.  Costello L. (2019) , To eat or not to eat meat : how vegetarian dietary choices influence our social lives, Lanham, Maryland : Rowman & Littlefield
  • Goffman, E. (1963). Stigma: Notes on the Management of Spoiled Identity. Englewood Cliffs, NY: Prentice-Hall.
  • McKay, R. (2018). A Vegan form of Life. Thinking Veganism in Literature and Culture: Towards a Vegan Theory, 249-271.
  • Osservatorio VeganOK (2024), Vegan Economy 2024. Nuove frontiere del business vegetale, disponibile su https://www.veganok.com/Report/report_aziende_e_trend_aprile-2024.pdf [ultimo accesso 20/10/2024]
  • Micalizzi A. (2024) Veg-eaters: lexical labels and inclusion/exclusion perspective in Italy, Emanuela Campisi, Ester Di Silvestro, Marco Caputi (2024), Strategies of inclusion and exclusion, Peter Lang Publishing.
  • Micalizzi A. (2019), fond of veg-food: tradition, transition, transformation / Alessandra Micalizzi in  Backer, Charlotte de, Fisher, Maryanne, Dare, Julie, Costello, Leesa, To eat or not to eat meat : how vegetarian dietary choices influence our social lives, Lanham, Maryland : Rowman & Littlefield
  • OIPA (2024). Giornata Mondiale dell’alimentazione. Gli italiani sempre più veg. Disponibile su  https://www.oipa.org/italia/giornata-alimentazione/ [Ultimo accesso 20/10/2024]
  • Priestley, A., Lingo, S. K., & Royal, P. (2016). “The worst offense here is the misrepresentation”: Thug Kitchen and contemporary vegan discourse. Critical perspectives on veganism, 349-371.

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