21 Novembre, 2024

Bonus edilizi e patrimonio immobiliare in crisi. Un incontro difficile, da 25 anni

Tempo di lettura: 7 minuti

Da quasi 25 anni esistono politiche di incentivo fiscale dedicate alla riqualificazione dell’ingente patrimonio residenziale privato che caratterizza il nostro paese (la detrazione fiscale per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio è stata introdotta dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449). Questo notevole impegno economico – 200,5 miliardi, nel complesso, di importi detraibili fiscalmente – si è sviluppato assumendo come obbiettivi più o meno espliciti o prevalenti la lotta al lavoro nero dilagante in edilizia, la promozione della produttività nazionale (agendo ancora una volta sul settore delle costruzioni come volano dell’economia), il perseguimento degli obiettivi energetici europei e, infine, la sicurezza degli immobili in caso di sisma.

I risultati sono positivi se valutati in termini di bilancio economico e ambientale complessivo, ma problematici e addirittura controproducenti se analizzati nel merito degli interventi indotti e soprattutto rispetto alle ripercussioni sulla specificità dei territori. Da un lato, infatti, sono emerse perplessità rispetto all’efficacia reale delle misure adottate per la scarsa presenza di interventi di “deep renovation”, sull’intero sistema edificio-impianto a fronte di una prevalenza di sostituzioni di serramenti e caldaie a macchia di leopardo (Corte dei conti Europea, 2020; Enea, 2020).

Dall’altro lato, si è trattato di incentivi “a pioggia”, indifferenti ai contesti territoriali del paese e alle condizioni socioeconomiche che li caratterizzano, che hanno stimolato i maggiori investimenti in quelle città e in quelle regioni ove il mercato immobiliare era più forte e in grado di riconoscere l’investimento – incrementando dunque il valore nelle aree dove già erano presenti ricchezza e capacità imprenditoriale – col rischio di accrescere le disparità territoriali e lo spreco di denaro pubblico (Camera dei Deputati, 2019; Magnani, Carrosio e Osti, 2020).

Figura 1. Appartamento in condominio, Milano, anni Cinquanta (archivio del Comune di Milano)

Si tratta di limiti che il recente “Superbonus 110%” si è proposto almeno in parte di superare, individuando misure tese a supplire alla carenza finanziaria di base che ha spesso costituito un limite all’utilizzo dei bonus edilizi, ma sollevando al contempo forti dubbi circa l’efficacia ambientale nel commisurare la spesa pubblica alla dimensione del comparto interessato – 11,6 miliardi di euro sullo 0,42% della superficie complessiva degli esistenti edifici residenziali (Camera dei Deputati, 2021) – e all’ancora limitato impatto sui condomini rispetto alle case unifamiliari (Enea, 2021); la trasparenza delle operazioni finanziarie implicate dagli interventi; l’immutata distribuzione generalizzata. Si continua infatti a operare ancora in modo tradizionalmente settoriale, senza tener conto delle esigenze dei territori nei quali gli immobili sono ubicati, del valore che questi incorporano e dell’uso che se ne potrebbe fare in futuro, a valle dell’intervento di trasformazione incentivato.

Il vasto patrimonio residenziale italiano (32 milioni di abitazioni) è estremamente eterogeneo sia per caratteristiche del manufatto (epoca di costruzione, stato di conservazione, tipologia), sia per caratteristiche di localizzazione (intese in senso ampio, includendo il mercato immobiliare e i bisogni emergenti da un dato contesto territoriale): una politica edilizia volta al suo ammodernamento non dovrebbe prescindere da queste caratteristiche, in particolar modo con riferimento a quelle situazioni territoriali con patrimoni “senza valore” a cui fa riferimento Simone Rusci nella sua introduzione, per le quali è urgente mettere a punto linee d’azione dedicate.

Una auspicabile innovazione dei bonus edilizi in questo senso, a nostro avviso, dovrebbe far propri aspetti di perequazione, di redistribuzione e di equità territoriale non tanto diversificando gli incentivi in funzione della situazione economica del proprietario o del valore dell’immobile – lasciando che siano altre misure fiscali, anche relative al patrimonio edilizio, ad agire su tali aspetti – ma superando la settorialità fino ad ora mantenuta dalle misure di incentivazione e focalizzandosi sul potenziale uso futuro dell’immobile, interpretandolo non più solo come bene del proprietario, ma come una “presa edilizia” da cui sviluppare politiche economiche, sociali, di sicurezza e di riqualificazione dei paesaggi. Una differenziazione dei bonus non dovrebbe più (solo) riferirsi a “quale tipo di trasformazione”, ma dovrebbe più esplicitamente riferirsi ad aspetti quali il “per chi”, “per quale utilizzo futuro”, “per quale pubblico interesse”. In altre parole, un intervento sul patrimonio edilizio privato dovrebbe essere incentivato non tanto (o non solo) per i suoi effetti diretti sul manufatto, quanto per la capacità di mobilitare iniziativa e risorse private verso più espliciti obiettivi di natura pubblica e collettiva che, di volta in volta, emergono dai territori nei quali è localizzato il patrimonio in questione.

In questa prospettiva, come altrove abbiamo provato ad argomentare (Zanfi, Daglio, Perrone e Rusci, 2021), si possono individuare almeno tre grandi linee di innovazione entro i quali i bonus edilizi potrebbero essere “territorializzati” e condizionati.

Una prima linea dovrebbe sostenere un più esteso “uso sociale” del patrimonio privato nei mercati urbani più dinamici e contraddistinti da tensione abitativa, e condizionare l’incentivo alla re-immissione di un immobile ammodernato (o di parte di esso) nel mercato dell’affitto a canone calmierato per un certo periodo di tempo, contribuendo a temperare il mercato.

Un secondo e un terzo ambito dovrebbero invece riguardare più precisamente i territori “senza valore” di cui ci occupiamo in questa sede, e prevedere bonus edilizi collegati a progetti di riabitazione mirata, di contrasto allo spopolamento o al contrario ad azioni di alleggerimento insediativo. Da un lato, per esempio, gli incentivi (o persino più robuste sovvenzioni) potrebbero riguardare l’adeguamento tipologico e tecnologico di manufatti edilizi strumentali all’avvio di progetti imprenditoriali che prevedano anche la residenza dell’imprenditore o dell’imprenditrice, tesi a valorizzare le risorse locali di un dato contesto e rivolti a una popolazione giovane.

Dall’altro, al contrario, in tutte quelle situazioni nelle quali non è opportuno riabitare (per criticità legate a rischi ambientali – dalle coste in erosione alle aree sismiche –, fattori di inquinamento o conflitti con politiche di tutela del paesaggio), gli incentivi dovrebbero accompagnare l’abbandono dei beni edilizi più problematici e, contestualmente, azioni di completa rimozione dei manufatti e di rinaturalizzazione dei siti.

Una ampia gamma di esperienze sviluppate dalle Agenzie casa di diversi comuni, a politiche regionali o nazionali (quali Snai, “resto al Sud”, Sprar/Siproimi, “Bando Montagna” dell’Emilia-Romagna) che puntano alla specificità dei contesti rappresentano buone pratiche concrete e fattibili. Si tratta tuttavia di misure che richiedono una visione e uno sforzo di programmazione ben diverso rispetto alle politiche miopi di incentivo, di anno in anno rinnovate, mirate ad un facile risultato immediato sul bilancio nazionale. Quest’ultimo enorme finanziamento giustificato dall’urgenza del “rilancio” rischia di non innescare processi virtuosi a lungo termine, agendo da sempre su un settore quello delle costruzioni che soffre da decenni di una crisi strutturale, anche per questo tipo di politiche.

Riferimenti bibliografici

  • Camera dei Deputati, 2019, Il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio: una stima dell’impatto delle misure di incentivazione, n. 32/1, rapporto online
  • Camera dei Deputati, 2021, Il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio: una stima dell’impatto delle misure di incentivazione, n. 32/3, 2° edizione
  • Corte dei conti europea, 2020, Efficienza energetica degli edifici: permane la necessità di una maggiore attenzione al rapporto costi-benefici, Relazione speciale 11/2020, rapporto online
  • ENEA (2020), Le detrazioni fiscali per l’efficienza energetica e l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia negli edifici esistenti. Rapporto Annuale 2019, rapporto online
  • ENEA (2021), Le detrazioni fiscali per l’efficienza energetica e l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia negli edifici esistenti. Rapporto Annuale 2021, rapporto online
  • N. Magnani, G. Carrosio e G. Osti (2020), Energy retrofitting of urban buildings: a socio-spatial analysis of three mid-sized Italian cities, «Energy policy», 139, pp. 1-9
  • F. Zanfi, L. Daglio, A. Perrone e S. Rusci, 2021, Bonus edilizi: diversificazione e integrazione con politiche urbane e territoriali, in A. Coppola, M. Del Fabbro, A. Lanzani, G. Pessina e F. Zanfi (a cura di), Ricomporre i divari. Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica, Bologna, Il Mulino, pp. 149-162


Articoli correlati

Oltre il contributo d’accesso, per un modello sostenibile di turismo

L'introduzione del contributo d'accesso per i turisti a Venezia ha avuto un effetto boomerang, aggravando i problemi esistenti. Questo intervento, pensato per gestire la pressione turistica, si è rivelato inefficace e controproducente. Venezia, simbolo dell'overtourism, ha visto peggiorare il tessuto sociale e produttivo, con disuguaglianze amplificate e residenti penalizzati. La vera soluzione richiede un futuro economico sostenibile e una regolamentazione più rigorosa del settore turistico, superando l'attuale modello predatorio.

Conto alla rovescia: posti letto e residenti in una città a breve termine

La sperimentazione del contributo d’accesso a Venezia, introdotta per mitigare l'impatto del turismo giornaliero, ha suscitato molte critiche e non ha ridotto la pressione turistica. Le polemiche evidenziano come la misura sembri mirata a capitalizzare i flussi turistici piuttosto che limitarli e non affronti i problemi causati dall’aumento delle locazioni brevi, che superano i posti letto dei residenti. La gestione dell’overtourism richiede interventi complessi e a lungo termine, centrati soprattutto sul tema dell’abitare, per contrastare la trasformazione di Venezia in una città esclusivamente turistica.

Il Contributo d’Accesso come misura di visitor management: il caso di Venezia

Il visitor management propone una varietà di misure in grado di monitorare, informare, influenzare e guidare il comportamento dei visitatori all’interno di diversi contesti come le destinazioni turistiche. Queste misure rispondono a necessità mirate e strutturali per la destinazione che possono contribuire al miglioramento della vivibilità; tuttavia, considerate di per sé non rappresentano un approccio di governance in una visione di sviluppo sostenibile. Il caso del contributo di accesso di Venezia viene utilizzato come caso di discussione.

I rischi di una crescita trainata dal turismo per il futuro del Nord Est

L’impatto economico del turismo nelle città è significativo. Emergono tuttavia preoccupazioni per gli effetti negativi a lungo termine, come l'overtourism e la diffusione di lavori scarsamente remunerati. Ancora, il turismo rischia di compromettere settori produttivi che letteralmente non trovano spazio nelle nostre città e di allontanare giovani e residenti. Regolamentare i flussi turistici e promuovere innovazione e sostenibilità appare dirimente per una crescita durevole sotto il profilo economico e sociale.

Progettare città per essere (più) umani

Il comportamento è influenzato dalle nostre biografie individuali e dalle relazioni, sia sociali che con l’ambiente: la personalità che ne deriva si elabora, così, su memorie consce ed inconsce. Queste relazioni modellano le esperienze e il loro ricordo. Molti studi interdisciplinari hanno indagato su come lo spazio influisce sulla personalità, le relazioni, le emozioni e la memoria. La forma urbana agisce sulla coesione sociale, spesso non soddisfacendo i bisogni umani più naturali. È essenziale integrare, perciò, neuroscienze e psicologia ambientale nell'urbanistica per migliorare la qualita del costruito. Tre aree chiave sono la pianificazione, la cura degli spazi aperti e degli edifici, finalizzate alla inclusione sociale, alla sicurezza e ad un’idea di sostenibilità estesa anche al benessere psicofisico dei cittadini.