Come può la città contribuire a modificare credenze e stereotipi consolidati in millenni di cultura patriarcale che vedono le donne come le principali responsabili del lavoro di cura, come angeli del focolare domestico lontano dal quale sono facili prede della voracità maschile? Adottare una prospettiva di genere nella pianificazione della città, non significa solo contrastare le conseguenze dei fenomeni di prevaricazione dell’uomo sulla donna, ma modificare alla radice l’impostazione culturale tale per cui questa divisione della società sia considerata “normale”. I modi per farlo sono molteplici – si può ad esempio iniziare a intitolare molti più spazi pubblici a donne, o creare le condizioni per cui i luoghi della paura delle donne diventino invece luoghi di sostegno reciproco – ma non è certo la pianificazione da sola a poter cambiare lo stato delle cose. Per mettere in atto questo cambio di paradigma occorre uno sforzo coordinato, congiunto e capillare che coinvolga l’azione pubblica in tutte le sue espressioni operative.
Secondo i dati raccolti da Rete Toponomastica, in Italia le intitolazioni femminili di strade, vie, piazze, e spazi pubblici in generale si aggirano fra il 3% e il 5% del totale. È un dato significativo della profonda disparità di genere che attraversa la sfera pubblica.
Fortunatamente esistono degli esempi virtuosi a cui guardare, amministrazioni pubbliche che hanno già da tempo intrapreso la strada del gender mainstreaming e i cui risultati iniziano a essere visibili e tangibili nelle strade delle città. Vienna prima di tutte: già dall’inizio degli anni Novanta, l’amministrazione pubblica ha cominciato a domandarsi quali fossero le esigenze specifiche delle donne in città e come vi si potesse dare risposta. Si è così dato inizio a un’intensa attività di pianificazione che si è concretizzata in una serie di interventi: da progetti pilota per piazze e spazi pubblici attenti alle esigenze di soggetti fragili (donne, bambini, anziani…), a micro-interventi in quartieri già consolidati per rispondere alle esigenze della cura e dell’insicurezza (ad esempio aggiungendo panchine, allargando i marciapiedi, aumentando l’illuminazione), fino alla realizzazione di interi quartieri progettati da donne mettendo al centro le esigenze delle donne (Frauen Werk Stadt I-II-III).
Una città come Vienna può inoltre contare su un importante patrimonio di edilizia residenziale pubblica che la rende un caso particolarmente virtuoso in Europa, non solo da un punto di vista di genere, ma anche per l’inclusività e l’accessibilità dell’abitare in generale. Se Vienna è riuscita a mettere in pratica i principi del gender mainstreaming con tale profitto, lo si deve soprattutto alla forza e alla determinazione di Eva Kail, alla guida del dipartimento di pianificazione della città dal 1992 e vera fonte di ispirazione per diverse generazioni di architette e urbaniste. Vienna non è l’unica città ad aver adottato una prospettiva di genere nella pianificazione urbana. Anche Barcellona -soprattutto a partire dal 2015, da quando cioè Ada Colau è diventata Sindaca della città- ha messo in piedi una struttura amministrativa che vede il genere come una componente trasversale che informa e influisce su tutte le politiche pubbliche. La città ha infatti istituito una Direzione di gender mainstreaming che risponde direttamente alla Sindaca e che è finanziata con l’1% del budget di tutti i dipartimenti, coerentemente con l’approccio trasversale che le tematiche di genere hanno all’interno della macchina amministrativa. A Barcellona, inoltre, l’amministrazione -che in media conta una presenza di giovani donne e uomini assai cospicua- pone molta attenzione all’ascolto dei bisogni della cittadinanza e ai processi partecipativi come componente fondamentale dell’azione pubblica. I primi risultati di questa attenzione al genere iniziano già a vedersi, ad esempio nei progetti di urbanistica tattica Superillas -che intendono dare forma a un modello di città di prossimità basata su una mobilità dolce, perlopiù pedonale e pubblica, particolarmente adatta alle esigenze di chi si prende cura di bambini, anziani e soggetti fragili.
Oltre a Vienna e Barcellona anche altre città -come Parigi e Berlino- stanno lavorando nell’ottica di rendere la cura una materia viva che informa e incide nell’azione amministrativa. La direzione non può che essere quella di rafforzare le reti di città affinché l’azione pubblica sia sempre più coordinata a scala internazionale. I centri urbani dovrebbero porsi di fronte alle questioni di genere con lo stesso approccio adottato per affrontare la questione climatica: istituendo reti che coordinano l’azione pubblica mediante la costruzione di cornici istituzionali comuni all’interno delle quali sviluppare progettualità condivise. Si pensi ad esempio alla rete di città C40, che ha creato Resilient Cities, che altro non è che un programma di lavoro comune basato su principi condivisi a scala internazionale rispetto all’emergenza climatica, ai quali ciascuna città aggiunge poi declinazioni locali. Tale approccio consente di costruire le condizioni per una progettualità mirata e coordinata che punta alla trasformazione concreta della città e delle sue relazioni.
In merito alle questioni di genere alcune iniziative sono già state intraprese proficuamente in questa direzione -si pensi ad esempio alla Carta europea per l’uguaglianza e la parità sottoscritta da 28 paesi della comunità europea, o al network Gendered Landscape di Urbact- tuttavia è necessaria maggiore consapevolezza diffusa che generi pressione pubblica sull’urgenza del tema nel governo delle città. È attraverso una presa di parola forte e determinata che si genera la volontà politica per portare le tematiche legate al genere, sempre più urgenti e necessarie, in cima alle agende politiche delle amministrazioni pubbliche e con esse la possibilità di fare spazio a una profonda trasformazione fisica e sociale.