23 Novembre, 2024

Investimenti e PNRR a che punto stiamo?

Tempo di lettura: 5 minuti

Dal 2019 l’andamento della spesa per investimenti registra un’inversione di tendenza: crescendo del 9,8%, dopo la contrazione media di 4,5% degli anni 2010-2018; questa dinamica positiva è proseguita nei due anni successivi: in termini cumulati, la crescita 2019-2021 è stata di oltre il 30%. Lo spartiacque rappresentato dai risultati del 2019 poggia in parte sugli effetti di interventi normativi che hanno interessato due ambiti cruciali per la spesa pubblica in investimenti: la regolamentazione degli appalti pubblici e le regole di bilancio degli Enti locali.

Le incertezze applicative e i rallentamenti dovuti all’introduzione del nuovo Codice degli appalti nel 2016 si sono progressivamente sciolte nel 2019 con il decreto cosiddetto “Sblocca Cantieri” cui è seguito l’intervento per semplificare e snellire le procedure amministrative in vista dell’attuazione del PNRR inserito nel cosiddetto decreto “Semplificazioni”.  Un secondo fattore che ha favorito la ripresa per gli investimenti pubblici attiene alle misure poste in essere per gli Enti territoriali che dal 2017 si erano focalizzate su tre linee di intervento: il superamento del patto di stabilità interno; la concessione di spazi finanziari, ovvero di flessibilità di gestione nell’ambito delle regole di finanza pubblica; il finanziamento diretto attraverso contributi di opere pubbliche. Anche la semplificazione delle regole di bilancio per gli enti territoriali introdotta dalla legge di bilancio per il 2019 rientra in questo percorso.

Figura 1 – @pxfuel

A questo punto si pone il problema di verificare se l’espansione prima richiamata sia foriera di un effettivo cambio di passo per quanto concerne la capacità di programmazione e di spesa da parte delle amministrazioni alla luce dei rilevanti interventi previsti dal PNRR.

A tale riguardo le spese per investimenti previsti dal PNRR dovrebbero ammontare al 61,8% delle risorse addizionali pari a 182 ,7 miliardi di euro. Per quel che riguarda le categorie di investimento, il Piano intende destinare a “Costruzioni ed edilizia civile” un 32,6% degli investimenti aggiuntivi, all’acquisizione di “Prodotti informatici, elettronici e ottici” verrebbe destinato il 12,4% delle risorse addizionali, alla voce “Altri mezzi di trasporto” andrebbe il 6,9% per cento dei finanziamenti aggiuntivi, una percentuale appena inferiore (6,2%) sarebbe orientata verso “Servizi di ricerca e sviluppo scientifico” e una quota del 3,8% alimenterebbe infine la spesa per Programmazione informatica”.

Tuttavia perplessità sull’effettiva capacità di far fronte a questi impegni derivano da quanto emerge dalle audizioni al Parlamento del MEF e dell’Ufficio Parlamentare del Bilancio tenutesi rispettivamente a Febbraio e ad aprile scorsi.

In questi documenti si legge che nel 2021 c’è stata una realizzazione degli interventi del PNRR inferiore a quanto ipotizzato; infatti a fronte di interventi previsti per 13,7 miliardi di euro, sono stati effettivamente spesi 5,1 miliardi riguardanti – si badi bene – per la maggior parte progetti già in essere che non riguardavano le risorse aggiuntive prima richiamate. In sostanza si è dunque speso il 37,2 per cento di quanto preventivato: circa 2,5 miliardi di euro sono andati in progetti ferroviari, circa 1,2 miliardi di euro ai bonus edilizi, 990 milioni di euro a Transizione 4.0, un programma di incentivi per le aziende, e 395 milioni di euro per l’edilizia scolastica.

Entro il 2026 – anno in cui arriverà l’ultima delle dieci rate dei fondi europei – l’Italia dovrà spendere in media più di 35 miliardi di euro l’anno quindi la fitta tabella di marcia del PNRR richiede un’accelerazione per concretizzare i progetti già avviati.

Figura 2 – Le nuove infrastrutture UE @regioniambiente

La Corte dei conti nella sua relazione sull’attuazione del PNRR del marzo scorso ricorda che sotto il profilo temporale di attuazione del PNRR l’impatto del Piano viene disaggregato per singoli anni, distinguendo fra spese correnti, investimenti, altre spese in conto capitale e riduzione di entrate. Il periodo considerato è però solo il 2020-2024, lasciando quindi scoperto il biennio 2025-26 al quale si estende la copertura del PNRR; questo è un elemento di indeterminatezza che andrà sciolto in parallelo con la progressiva attuazione del Piano. Considerato quindi il notevole sforzo realizzativo, è necessario avere il supporto di strutture amministrative adeguate, con elevate capacità progettuali e di coordinamento, in aggiunta di un quadro normativo chiaro, efficace e snello. Ed è su questi ambiti che si trovano dei punti di debolezza, testimoniati dalla perdurante lentezza nelle procedure di attuazione. Mentre il processo di aggiornamento della normativa degli appalti si sta svolgendo nei tempi previsti e registrando consistenti progressi nella semplificazione, di contro, si riscontra maggiore lentezza all’interno delle singole amministrazioni responsabili e delle strutture tecniche di coordinamento delle attività del PNRR. Particolari criticità si evidenziano nell’inadeguatezza delle dotazioni organiche, soprattutto in relazione ai profili dirigenziali.

Si tratta di un problema non di poco conto, perché la mancanza di capacità progettuale delle amministrazioni può mettere a rischio la disponibilità dei fondi, oppure può determinare la necessità di riprogrammare gli interventi, con il ricorso a quote di riserva. Segnali non positivi arrivano soprattutto dalle regioni meridionali con il secondo flop del concorso Coesione 2022. Dopo la disfatta del Concorso sud, che puntava a reclutare 2.800 funzionari per l’attuazione del PNRR nelle regioni meridionali assumendone con contratto a termine solo 800, anche la riedizione 2022 del concorso Coesione è destinata ad essere un fallimento. Basti pensare che i posti a bando sono 2.022 e dopo la prova scritta gli idonei sono appena 728. Con una classe di concorso, quella per funzionari esperti tecnici, dove a superare la prova è stato meno del 10% dei posti banditi. Come non era difficile prevedere, a scoraggiare i candidati è certamente il contratto di lavoro a tempo determinato con una durata non superiore a 36 mesi cui si aggiunge una retribuzione – intorno ai 1.500 euro mensili – non del tutto adeguato per giovani professionisti.

Ulteriori approfondimenti

https://www.mef.gov.it/ufficio-stampa/articoli/2021_2023-Daniele_Franco/documenti/article_00001/PNRR_Audizione-Camera-e-Senato-23-febbraio_v12.pdf

Articoli correlati

I rischi di una crescita trainata dal turismo per il futuro del Nord Est

L’impatto economico del turismo nelle città è significativo. Emergono tuttavia preoccupazioni per gli effetti negativi a lungo termine, come l'overtourism e la diffusione di lavori scarsamente remunerati. Ancora, il turismo rischia di compromettere settori produttivi che letteralmente non trovano spazio nelle nostre città e di allontanare giovani e residenti. Regolamentare i flussi turistici e promuovere innovazione e sostenibilità appare dirimente per una crescita durevole sotto il profilo economico e sociale.

Ancora sull’autonomia differenziata. La nuova normativa e la legge 42/2009 di attuazione del federalismo fiscale.

Il nuovo numero di DiTe riapre il dibattito sull'autonomia differenziata, dopo l'approvazione del disegno di legge 615. DiTe aveva già affrontato il tema nel numero del 5 marzo, ma ritorna sulla questione per evidenziare l'importanza del progetto riformatore e i suoi effetti potenziali. Il confronto tra la legge Calderoli del 2009 e la nuova normativa mostra tre punti chiave trascurati: autonomia tributaria, superamento della spesa storica e capacità fiscale regionale. La nuova legge, basata sulla compartecipazione ai tributi, è criticata per la mancanza di coerenza e per ignorare la necessità di perequazione e rafforzamento dell'autonomia tributaria.

L’autonomia regionale differenziata è una secessione dei ricchi

L’autonomia differenziata configura una autentica “secessione dei ricchi” perché amplifica enormemente i poteri delle Regioni, pregiudicando disegno e attuazione delle politiche pubbliche nazionali e ampliando le disuguaglianze territoriali. Il trasferimento delle risorse alle Regioni è definito da commissioni stato-regione privando il Parlamento delle proprie potestà.

Storia e Cronistoria del DdL Calderoli

Il disegno di legge Calderoli all’esame del Parlamento stabilisce, tra l’altro, che l’attuazione dell’autonomia per tutte le funzioni che prevedono il rispetto dei LEP non possono essere oggetto di intesa se non dopo la loro definizione e ciò, di fatto, “costituzionalizza” gli squilibri distributivi nella ripartizione della spesa tra le regioni, penalizzando in particolare quelle meridionali.

L’equivoco dei residui fiscali tra spesa storica e suggestioni autonomistiche

I residui fiscali, lungi dall’essere “impropri e parassitari” non sono altro che la conseguenza della necessità di garantire l’attuazione del principio di equità: dai dati si evince che tale principio, complice il meccanismo del criterio della spesa storica, è lungi dall’essere rispettato.