Urbanistica contrattuale è il titolo scelto per una ricerca che ho condotto in questi ultimi anni. Il messaggio proposto si ricava dall’aggettivo posto nel titolo a designare l’urbanistica come una pratica di reciprocità, specialmente se la rigenerazione urbana è il fulcro principale. La cornice di senso dell’urbanistica contrattuale, infatti, è quella di un territorio ampiamente urbanizzato e infrastrutturato, obsolescente in molte sue parti, con una densa accumulazione di diritti, competenze, norme e prassi in equilibrio spesso precario.
Per fare urbanistica in questa cornice è necessario riconoscere l’insufficienza di qualunque attore della trasformazione nel raggiungimento di uno scopo. Nessun attore, pubblico o privato che sia, detiene per intero le risorse decisionali, cognitive, finanziarie e patrimoniali che permettono la realizzazione di piani e progetti urbani. Nessun attore, per giunta, riesce a farsi interprete singolarmente degli interessi generali nel governo del territorio. Esiste sempre un’eccedenza oltre i limiti della razionalità amministrativa e imprenditoriale, un imprevisto causato dalla ridondanza territoriale e normativa, amplificato dalla riduzione dei bilanci pubblici che impedisce di programmare, esasperato dalla svolta finanziaria di un settore immobiliare che insegue guadagni di breve periodo.
Fare urbanistica all’interno delle città diventa incompatibile con qualsiasi scelta e azione unilaterale non in ragione di un principio astratto, ma per effetto del pluralismo circostanziale di valori, diritti e interessi messo in gioco da ogni trasformazione. Gli attori urbani operano di fatto in una condizione di reciprocità delle prestazioni. In questa condizione, i ruoli amministrativi, tecnici e imprenditoriali sono ancora importanti, ma non sono regolati solo dalle norme di natura pubblicistica e privatistica. Il concreto rapporto di reciprocità che risulta dal proposito di realizzare una trasformazione urbana chiama ciascun attore a uno sforzo di mutuo aggiustamento di ruoli e competenze. Il coordinamento non si può dare per scontato in base alle procedure e gerarchie prestabilite. L’ineludibile reciprocità di prestazioni non può che assumere per questo genere di urbanistica una modalità negoziale.
Secondo quanto detto finora, l’urbanistica contrattuale è tutt’altro che un losco mercanteggiamento di cubature e destinazioni d’uso del suolo come taluni invece dicono. Un differente paradigma della pianificazione spaziale, non più atto unilaterale della pubblica amministrazione, chiama in causa il contratto come una prassi ordinaria, trasparente e rendicontata di governo del territorio. Il mutamento di paradigma è iniziato nel nostro Paese dagli anni Ottanta ma è tuttora lontano dal suo compimento. Norma e contratto non trovano una coerente integrazione nell’attuale disciplina urbanistica regionale. Ciò non aiuta i tecnici, gli amministratori pubblici e gli operatori privati che sono impegnati in accordi negoziali e perequativi. In secondo luogo, il resoconto delle esperienze contrattuali condotte in Italia è parziale e lacunoso, mentre potrebbe costituire una fonte informativa preziosa per elaborare criteri operativi corretti dal punto di vista urbanistico, estimativo e giuridico. Se è vero che in alcune grandi città il frequente ripetersi di progetti negoziati ha consentito un accumulo di esperienza professionale, molti comuni si cimentano con grandi operatori immobiliari come Davide contro Golia, sprovvisti di mezzi efficaci per garantire l’equità e la piena attuazione degli accordi sottoscritti.
Nella transizione della nostra urbanistica dal principio di autorità al principio di reciprocità va tenuta distinta la legittimità degli accordi dall’opportunità, che cambia molto secondo i contesti geografici e le congiunture economiche. Questa distinzione aiuta a fare chiarezza dentro un dibattito viziato da malintesi e pregiudizi. Ma il maggiore ostacolo da superare è il sospetto che il contratto sia la rinuncia alle prerogative di indirizzo e controllo dell’autorità pubblica mediante lo strumento di pianificazione generale. L’importanza del piano per il governo del territorio non è contraddetta dalla partecipazione di interessi pubblici e privati alla formazione e all’attuazione delle scelte. L’urbanistica contrattuale necessita di un chiaro indirizzo strategico delle trasformazioni per evitare di procedere caso per caso con il rischio di sperequazione, disparità di trattamento e sovradimensionamento dell’offerta. Ridotta alla dimensione del puro scambio di risorse, priva della dimensione politica che solo il piano esprime al meglio, l’urbanistica non sarebbe più degna del proprio nome. Andando invece incontro ai bisogni di una società fortemente pluralista, sfiduciata verso i grandi ideali e le istituzioni, potremmo tentare di rinnovare il prestigio della nostra disciplina proponendoci di stipulare l’urbanistica ancor prima di amministrarla.
Ulteriori approfondimenti
Gaeta L. (2021), Urbanistica contrattuale. Criteri, esperienze, precauzioni. FrancoAngeli.