All’inizio di ottobre 2024 Chiara Barattucci, pensando a questo numero di DiTe.it, mi ha posto la seguente domanda: “Sin dagli anni Cinquanta De Carlo ha praticato diverse procedure partecipative ritenendole indispensabili per la concezione di piani e progetti. Ci può ricordare quelle esperienze nelle quali anche lei era coinvolto e se ritiene che l’insegnamento di De Carlo sia attuale e attuabile ancora oggi?”.
Per rispondere a questa domanda, vorrei ripercorrere rapidamente due esperienze che ho vissuto con De Carlo, entrambe caratterizzate dalla sua fiducia nella partecipazione come momento essenziale di ogni processo di progettazione.
La prima si colloca alla fine degli anni Cinquanta, quando non ero ancora laureato, e riguarda l’incarico di redigere il Piano Regolatore di Urbino. Mentre in sue esperienze successive la partecipazione coinvolge entità relativamente ristrette di persone, come gli abitanti di un quartiere, in questo caso De Carlo deve interfacciarsi con l’intera cittadinanza. E’ un’operazione complicata e difficilissima, quella di consultare le migliaia di residenti del Centro Storico – la periferia ancora non aveva preso corpo – per comprenderne le condizioni di vita e le aspettative, per poi su queste costruire un progetto per il futuro.
L’espediente che De Carlo propone in quella circostanza è la consultazione diretta degli abitanti, non in manifestazioni pubbliche o in riunioni convenzionali organizzate, ma incontrandoli direttamente nelle loro case. De Carlo convince il Comune a chiamare un gruppo di studenti dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia – dove insegnava da tre anni – per fare sottoporre ai cittadini un questionario pensato per raccogliere informazioni, opinioni e pareri sulle loro case e sulla loro città.
Ricordo ancora il giorno in cui mi arrivò la sua lettera, proponendomi di mettere insieme un gruppo di sei – sette studenti dello IUAV e di andare ad Urbino per un mese per svolgere un lavoro di analisi dettagliata sulle condizioni abitative del Centro Storico e una valutazione delle prospettive, a partire dalle esigenze degli abitanti. In un mese – era Aprile – io e i miei compagni, ospiti del Comune, avevamo girato casa per casa, con il questionario predisposto da De Carlo, interrogando gli abitanti.
La città era pervasa da questa iniziativa, i giornali ne parlavano quotidianamente, gli abitanti ci accoglievano nelle loro case con grande disponibilità, collaborando e offrendo le loro risposte aperte perché il questionario era solo una traccia per discutere, e per ascoltare. L’interesse suscitato nelle persone sul nuovo Piano Regolatore era enorme e De Carlo, redigendolo, tenne in considerazione le loro aspettative. Quando il Piano fu adottato, c’era nella cittadinanza una conoscenza di base dei temi affrontati, e una condivisione del futuro urbano proposto.
De Carlo ad Urbino aveva avuto la possibilità di stabilire un rapporto di particolare fiducia e di collaborazione con i cittadini: grazie anche al coinvolgimento dell’Università e al sostegno politico di amministratori comunali realmente interessati ai risultati delle consultazioni con la popolazione. Si trattava però di una procedura difficilissima da mettere in pratica (e infatti da De Carlo è stata usata solo quella volta a Urbino). Per procedure partecipative così complesse, occorreva avere alle spalle una amministrazione comunale aperta e con una disponibilità politico-culturale appropriata.
L’altra esperienza di partecipazione che ho vissuto con De Carlo, seppure meno intensamente, è stata quella di Terni, nel 1970, per il progetto di un insediamento di case operaie, che poi prenderà il nome di Villaggio Matteotti. In una situazione completamente diversa dalla precedente, il meccanismo operativo per attivare un rapporto con i destinatari del progetto è completamente diverso: perché si trattava di un numero molto inferiore di persone da coinvolgere. Si trattava degli operai che alloggiavano in un quartiere costruito in due fasi tra il 1938 e il 1946, con bassissima densità e composto da case singole con giardino, realizzato durante il fascismo e che, ormai fatiscente, era completamente da rifare.
Al posto di quel quartiere la Società Terni, anche grazie ad una convenzione con il Comune, decide di realizzare un nuovo ‘villaggio’, per accogliere gli stessi abitanti, che avrebbero dovuto abbandonare la loro casa, ed entrare in una casa diversa. Il problema dell’allontanamento dalla propria casa turbava De Carlo, che si domandava cosa avrebbe potuto proporre loro in cambio.
In questo caso la procedura di consultazione si è svolta in riunioni e discussioni con gli abitanti, anche con la proiezione di documentari sul tema della casa e della città. Per animare il dibattito, De Carlo organizza una mostra, proponendo quattro modelli abitativi alternativi. Quattro quartieri di edilizia residenziale esistenti, che lui considerava esemplari, e che sembrava potessero essere apprezzati dagli abitanti (due in Inghilterra, uno negli Stati Uniti e uno in Svizzera). De Carlo illustra ripetutamente e discute i caratteri e le differenze tra le quattro alternative proposte. C’era infatti la necessità di mettere le persone nelle condizioni di saper giudicare modelli abitativi. La mostra aveva richiesto tempo e un lavoro anche non da poco da parte dell’équipe di De Carlo, sia relativamente alla scelta dei modelli, sia alla predisposizione degli elaborati e dell’allestimento. La mostra era anche seguita da un’inchiesta sulle condizioni abitative di un campione casuale di cento nuovi abitanti messa a punto da un sociologo.
Si è trattato quindi di una procedura partecipativa pensata per un numero limitato di persone per permettere la definizione condivisa del progetto del nuovo quartiere. Importante e attuale anche in questo caso è l’insegnamento di De Carlo, che parte dalla convinzione di non potere imporre ad una comunità un tipo di casa e di quartiere senza averla ascoltata, proponendo la consultazione di modelli reali, per stimolare la loro capacità di risposta.
Ho fatto questi due esempi così diversi, per spiegare che non c’è una regola, un manuale, una codificazione nell’opera di De Carlo, relativamente alle procedure partecipative che andavano immaginate caso per caso, nella convinzione che trattandosi di processi specifici di trasformazione urbana, fosse indispensabile un rapporto con i destinatari dei suoi progetti adeguato ad ogni circostanza; in maniera da ricavarne indicazioni, e non soltanto la condivisione delle soluzioni.
Credo che l’insegnamento di De Carlo sia ancora attuale, anche rispetto a questo adattamento delle procedure partecipative caso per caso. E anche che oggi la partecipazione intesa come messa in moto di un meccanismo di coinvolgimento dei cittadini sia una pratica possibile e attuabile. Dalle mie esperienze, ho sempre visto negli abitanti una fortissima voglia di essere consultati sulle loro esigenze e aspettative. Un progettista capace e intelligente si deve muovere in questa direzione, non temendo di rallentare i processi perché con le voci dei cittadini si raccolgono indicazioni progettuali e propositive di grande interesse, che rendono il progetto più giusto e adeguato e limitano i conflitti tra gli abitanti e i decisori (pubblici o privati che siano).
Bisogna avere dunque l’opportunità di mettere in moto meccanismi di questo tipo, non necessariamente attraverso un obbligo di consultazione della cittadinanza stabilito da una norma, rischiando di fare irrigidire i processi. Dovrebbe invece esserci, almeno nei bandi di concorso relativi a progetti di questa natura, il consiglio di mettere a punto una procedura partecipativa come indispensabile fonte di conoscenza e di alimentazione del processo progettuale.
Ulteriori approfondimenti
- De Carlo G., “L’architettura della partecipazione”, in: Richards J.M., Blake P., De Carlo G., L’architettura degli anni Settanta, Il Saggiatore, Milano, 1973.
- Mancuso F., Le vicende dello zoning, Il Saggiatore, Milano, 1978.
- Mancuso F. (a cura di), Giancarlo De Carlo. Ritorno a Venezia, Il Poligrafo, Padova, 2023.