Un tema da sempre di grande centralità e con forti ricadute sociali è il fabbisogno abitativo e, in particolare più recentemente, il “caro casa” che sta diventando un problema specialmente nelle città di medio-grande dimensione.
Diversamente dai prezzi di acquisto, che in termini reali in molti mercati sono in riduzione da anni, i canoni di locazione sono invece spesso aumentati ben più del costo della vita. Spiegare puntualmente il fenomeno senza disporre di dati è certamente difficile, ma si possono ricordare alcuni elementi strutturali del nostro mercato che ci consentono di comprendere la scarsa offerta del residenziale in locazione e di riflettere su alcune situazioni contingenti che hanno favorito un’ulteriore contrazione a fronte di un aumento della domanda.
È nota l’elevata propensione all’acquisto di abitazioni da parte degli italiani, le cui cause sono numerose. Senza pretesa di completezza, si ritrovano in fattori culturali, quali la centralità della famiglia e la conseguente rilevanza della casa e del relativo controllo strategico mediante l’acquisto, ma non solo. In un Paese caratterizzato per anni da alta inflazione e da scarsa accessibilità a investimenti finanziari, il mattone è sempre stato considerato un buon investimento, non tanto per la redditività corrente, quanto per una aspettativa di guadagno in conto capitale, a volte solo apparente non considerando correttamente l’inflazione. Inoltre, la c.d. legge sull’Equo Canone (legge 392/78), lungi dal raggiungere l’obiettivo di calmierare i canoni, ha sottratto dal mercato delle locazioni molte unità che spesso sono state lasciate sfitte, spingendo ulteriormente verso l’acquisto.
Contestualmente, gli investitori istituzionali hanno abbandonato il mercato dell’investimento nell’immobiliare residenziale, caratterizzato da un rischio elevato in relazione al rendimento. Infatti, l’alta propensione all’acquisto ha mantenuto a lungo elevati i prezzi, riducendo il rendimento corrente da canone. Tutto ciò a fronte di un alto rischio legale in caso di contenzioso e di una normativa fiscale che non è certamente incentivante, con una ridotta deducibilità dei costi e problematiche in relazione all’IVA. Nonostante alcuni investitori istituzionali si stiano timidamente affacciando, nel concreto non costituiscono al momento un’offerta quantitativamente significativa e, presumibilmente, non lo saranno ancora per anni, se non in nicchie quali, per esempio, quella delle residenze universitarie.
Oltre a elementi strutturali, si possono individuare cause più recenti che hanno spinto all’aumento dei canoni riducendo l’offerta e aumentando la domanda.
L’offerta residenziale in locazione si caratterizza per una bassa qualità media e una quasi totale assenza di gestione professionale, con la conseguenza che le famiglie che hanno la possibilità economica preferiscono l’acquisto. Proprio i recenti incentivi fiscali alla ristrutturazione (cd. bonus edilizi) hanno reso conveniente la riqualificazione di vecchie unità residenziali e, fino a pochi mesi fa, anche grazie a tassi di interesse molto bassi e alla grande liquidità, molte famiglie hanno acquistato e ristrutturato immobili vetusti, sottraendoli al mercato della locazione.
Se i bassi tassi sono ormai un ricordo, un altro fenomeno economico sta condizionando il mercato: l’inflazione.
Dal momento che gran parte delle unità in locazione appartengono a privati, questi hanno un vantaggio fiscale notevole nell’opzione per la “cedolare secca”: tuttavia, questo implica la non possibilità di adeguare all’inflazione il canone degli otto anni successivi, con l’effetto che l’offerta ha già anticipato le aspettative di inflazione, traducendole in maggiori canoni richiesti.
E ancora, soprattutto nelle città di maggiore dimensione e a vocazione turistica, si sta sempre più diffondendo la locazione di breve termine, favorita sia dallo sviluppo tecnologico che ne rende semplice la gestione mediante le piattaforme on-line, sia dalla convenienza economica per la maggiore redditività e per il rischio quasi nullo di insolvenza e di contenzioso. Inoltre, stiamo oggi assistendo a un aumento dei flussi turistici come effetto di una domanda latente post pandemia, che rende sempre più vantaggiosa la locazione di breve termine rispetto a quella tradizionale, e in tal modo sottraendo unità a quest’ultimo mercato. Trattandosi di contratti di breve termine, infatti, non si incorre nel rischio di mancati pagamenti e, soprattutto, di un lungo contenzioso per la liberazione dell’immobile. Infine, proprio per la brevità dell’accordo commerciale, dal momento che il prezzo è continuamente adeguato alla domanda, diventa una buona protezione dall’inflazione.
Da ultimo, non meno rilevante è il rialzo dei tassi di interesse e quindi la disponibilità di credito bancario per l’acquisto di abitazioni. A parità di reddito, un minor numero di famiglie potrà acquistare casa, con l’effetto di un incremento nella domanda di locazione di lungo termine.
Per concludere, partendo dalle caratteristiche strutturali del mercato residenziale della locazione in Italia, scarsamente sviluppato, con una ridotta offerta e di bassa qualità per lo più frazionata tra privati, con la pressoché totale assenza di investitori professionali, ci si deve soffermare anche sugli elementi contingenti che hanno portato all’aumento dei canoni.
Tra essi certamente hanno un impatto la repentina riduzione dell’offerta con l’uscita dal mercato di quegli immobili venduti per la ristrutturazione, ma anche un cambiamento delle preferenze degli investitori verso le locazioni brevi, favorite dalla ripresa del turismo e dalle aspettative di inflazione. Ma occorre considerare anche una nuova domanda di locazione derivante dalla maggiore difficoltà nell’acquisto per l’aumento dei tassi sui mutui. Sono tutti fenomeni che potrebbero non avere una durata breve.
Casa cara casa, riflessioni sull’incremento dei canoni
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