Le ex aree militari si mostrano come potenziali volani di rigenerazione urbana, ma un insieme di fattori eterogenei e frammentati tra di loro ne stanno impedendo percorsi di riuso virtuosi: questi ultimi dovrebbero virare su approcci inter- e multidisciplinari in armonia con il governo del territorio.
Caserme e aree militari non più utilizzate sono considerate preziose “risorse” per la città soprattutto nei processi di rigenerazione urbana, come ambiti riutilizzabili per servizi ed attrezzature collettive. Se è vero che il recupero di questi vuoti può contribuire a migliorare la qualità urbana, è anche vero che in assenza di un piano e progetto che attribuisca senso al loro recupero, le aree militari sembrano perdere il loro “valore pubblico”.
Il presente studio propone una riflessione metodologica per potenziare l’accessibilità pedonale urbana in una logica di rete flessibile, dove la ‘camminabilità’ possa diventare non soltanto momento di “scelta” possibile per un nuovo stile di vita ma, soprattutto, la base per una pianificazione orientata al modello della città di prossimità.
Il sistema fortificato veronese conforma non solo la città storica, ma l’intero assetto urbano e paesaggistico la cui rigenerazione richiede di coniugare azioni diffuse di riuso con una prospettiva generale di valorizzazione territoriale condotta a partire dal disvelamento di una geografia di segni latente dentro la dispersione insediativa caotica recente.
L’esperienza di Fondazione di Comunità di Messina viene qui presentata per il modello di recupero applicato all’ex Forte Petrazza trasformato in parco sociale. Il manufatto difensivo, per anni in mano alla criminalità locale, oggi si propone come presidio culturale e sociale e rappresenta uno dei poli del progetto Capacity (Bando periferie 2016).
La ricerca interdisciplinare, che integra categorie e metodi delle scienze naturali e sociali, si focalizza sull’analisi comparata di due ex aree militari italiane (Piazza D’Armi a Milano e Prati di Caprara a Bologna) interessate da significativi processi di rinaturalizzazione spontanea a seguito dell’abbandono delle loro funzioni originarie.
La storia dell’ex Caserma Trieste racconta le politiche atte a riscattare quest’area abbandonata per farne un modello utile a realtà simili. Purtroppo, nel quadro geopolitico grandemente mutato, l’importanza del confine nord-orientale italiano assume un nuovo ruolo e la retrocessione dei luoghi ex-militari alle comunità locali è più così certa.
Il patrimonio culturale, se adeguatamente valorizzato, può rappresentare un motore di sviluppo locale. Mettere la cultura al centro di politiche dedicate allo sviluppo significa puntare ad investire sulle specificità locali, sulle potenzialità delle risorse territoriali, sulle conoscenze, le capacità e il capitale sociale allo scopo di stimolare creatività, innovazione e progresso sostenibile. Le potenzialità del patrimonio culturale sono molteplici, come le sfide da affrontare per garantire strategie di valorizzazione lungimiranti ed efficaci.
La rivista è aperta a coloro che ritengono di avere un contributo da offrire al dibattito. La collaborazione avviene promuovendo articoli di carattere puntuale e/o gruppi di articoli coordinati su un tema. I contributi hanno una lunghezza compresa tra quattro e seimila caratteri. Per ogni richiesta di approfondimento: info@dite-aisre.it
La storia dell’ex Caserma Trieste racconta le politiche atte a riscattare quest’area abbandonata per farne un modello utile a realtà simili. Purtroppo, nel quadro geopolitico grandemente mutato, l’importanza del confine nord-orientale italiano assume un nuovo ruolo e la retrocessione dei luoghi ex-militari alle comunità locali è più così certa.
In anni recenti molti esponenti del mondo accademico e tra i policy makers si sono schierati contro la narrazione dominante che le zone marginali siano destinate ad un inesorabile destino di abbandono e lenta scomparsa. Esistono in realtà alcuni territori, che abbiamo definito ‘vibranti’, capaci di resistere alla tendenza allo spopolamento adattandosi alla loro perifericità. Comprendere quali siano gli elementi esogeni, o quali le risorse endogene su cui hanno fatto perno, diviene un importante fattore di conoscenza per chi ha la responsabilità di proporre strumenti per promuovere la coesione territoriale e ridurre le disparità territoriali.
Il reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane è da anni oggetto di riflessione e costruzione di politiche pubbliche in diverse metropoli globali. L’insediamento e la crescita di imprese nel campo della manifattura digitale e del nuovo artigianato sono perseguiti allo scopo di contribuire al rilancio del ceto medio correlato a nuovi processi di rigenerazione. Tale tematica chiama in causa il rapporto fra aree urbane e territori produttivi che nel caso di Milano suggerisce nuove forme di divisione del lavoro fra il capoluogo lombardo e il Made in Italy su scala nazionale.