L'introduzione del contributo d'accesso per i turisti a Venezia ha avuto un effetto boomerang, aggravando i problemi esistenti. Questo intervento, pensato per gestire la pressione turistica, si è rivelato inefficace e controproducente. Venezia, simbolo dell'overtourism, ha visto peggiorare il tessuto sociale e produttivo, con disuguaglianze amplificate e residenti penalizzati. La vera soluzione richiede un futuro economico sostenibile e una regolamentazione più rigorosa del settore turistico, superando l'attuale modello predatorio.
La sperimentazione del contributo d’accesso a Venezia, introdotta per mitigare l'impatto del turismo giornaliero, ha suscitato molte critiche e non ha ridotto la pressione turistica. Le polemiche evidenziano come la misura sembri mirata a capitalizzare i flussi turistici piuttosto che limitarli e non affronti i problemi causati dall’aumento delle locazioni brevi, che superano i posti letto dei residenti. La gestione dell’overtourism richiede interventi complessi e a lungo termine, centrati soprattutto sul tema dell’abitare, per contrastare la trasformazione di Venezia in una città esclusivamente turistica.
Il visitor management propone una varietà di misure in grado di monitorare, informare, influenzare e guidare il comportamento dei visitatori all’interno di diversi contesti come le destinazioni turistiche. Queste misure rispondono a necessità mirate e strutturali per la destinazione che possono contribuire al miglioramento della vivibilità; tuttavia, considerate di per sé non rappresentano un approccio di governance in una visione di sviluppo sostenibile. Il caso del contributo di accesso di Venezia viene utilizzato come caso di discussione.
Questo contributo sintetizza gli esiti di un’indagine sullo spazio ed il significato attribuiti al tema della giustizia spaziale nei corsi di laurea e post laurea in studi urbani delle università federali degli stati di Rio de Janeiro e di Goiás in Brasile. Nonostante, a livello teorico, emerga una buona diffusione del tema nei corsi di studi nell’università pubblica, tuttavia, gli intervistati hanno manifestato il timore che la maggior parte dei nuovi professionisti architetti-urbanisti siano poco attenti a questo a tema a causa delle pressioni del mercato e della grande diffusione delle università private nel paese.
Il dibattito attorno al tema della giustizia spaziale può essere ampliato se si considera la città come spazio d'azione. In particolare, una distribuzione ampia e diversificata delle responsabilità progettuali (ovvero del potere d'azione e controllo sull'ambiente costruito) viene indicata come una meta-condizione necessaria per una città più giusta. Tale idea ha rilevanza sia sul tema della proprietà sia su vari aspetti del disegno urbano.
Le ultime due decadi di letteratura in studi urbani e geografia umana hanno visto una proliferazione di contributi sul tema della giustizia spaziale. Una delle caratteristiche comuni in questa letteratura è la considerazione di tale “giustizia” come uno “stato di cose” risultante da una equa distribuzione di beni spaziali primari e rispettivi diritti
Negli ultimi vent'anni, l'integrazione dei mercati globali ha comportato una convergenza tra grandi aree geoeconomiche, ma una crescente disuguaglianza interna ai paesi, in particolare con alcune "superstar cities" nelle quali si sono concentrate le risorse chiave dell'innovazione. Ciò ha generato una nuova disparità economica e influenzato le dinamiche politiche. Per contrastare questa disuguaglianza è importante comprendere la sua portata e imparare da casi di successo di "periferie competitive" – come Galway, Raleigh-Durham o l’Emilia-Romagna – che offrono modelli replicabili per politiche di sviluppo nell'economia della conoscenza.
I divari regionali vanno oltre il reddito, generando esclusione sociale e risentimento politico. La redistribuzione delle risorse non è da sola sufficiente; servono invece territori competitivi basati su specializzazioni complementari alle grandi aree metropolitane, maggiore complessità economica, connettività globale, cooperazione tra istruzione e industria, e una finanza a sostegno della nuova imprenditorialità. Ma ciò richiede un “patto implicito” tra istituzioni, imprese, sistema educativo e finanza. Senza questo patto, le politiche più audaci non avranno successo.
Il patrimonio culturale, se adeguatamente valorizzato, può rappresentare un motore di sviluppo locale. Mettere la cultura al centro di politiche dedicate allo sviluppo significa puntare ad investire sulle specificità locali, sulle potenzialità delle risorse territoriali, sulle conoscenze, le capacità e il capitale sociale allo scopo di stimolare creatività, innovazione e progresso sostenibile. Le potenzialità del patrimonio culturale sono molteplici, come le sfide da affrontare per garantire strategie di valorizzazione lungimiranti ed efficaci.
La rivista è aperta a coloro che ritengono di avere un contributo da offrire al dibattito. La collaborazione avviene promuovendo articoli di carattere puntuale e/o gruppi di articoli coordinati su un tema. I contributi hanno una lunghezza compresa tra quattro e seimila caratteri. Per ogni richiesta di approfondimento: info@dite-aisre.it
La storia dell’ex Caserma Trieste racconta le politiche atte a riscattare quest’area abbandonata per farne un modello utile a realtà simili. Purtroppo, nel quadro geopolitico grandemente mutato, l’importanza del confine nord-orientale italiano assume un nuovo ruolo e la retrocessione dei luoghi ex-militari alle comunità locali è più così certa.
In anni recenti molti esponenti del mondo accademico e tra i policy makers si sono schierati contro la narrazione dominante che le zone marginali siano destinate ad un inesorabile destino di abbandono e lenta scomparsa. Esistono in realtà alcuni territori, che abbiamo definito ‘vibranti’, capaci di resistere alla tendenza allo spopolamento adattandosi alla loro perifericità. Comprendere quali siano gli elementi esogeni, o quali le risorse endogene su cui hanno fatto perno, diviene un importante fattore di conoscenza per chi ha la responsabilità di proporre strumenti per promuovere la coesione territoriale e ridurre le disparità territoriali.
Il reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane è da anni oggetto di riflessione e costruzione di politiche pubbliche in diverse metropoli globali. L’insediamento e la crescita di imprese nel campo della manifattura digitale e del nuovo artigianato sono perseguiti allo scopo di contribuire al rilancio del ceto medio correlato a nuovi processi di rigenerazione. Tale tematica chiama in causa il rapporto fra aree urbane e territori produttivi che nel caso di Milano suggerisce nuove forme di divisione del lavoro fra il capoluogo lombardo e il Made in Italy su scala nazionale.