Negli articoli di questo numero si riflette sull’importanza di una rinnovata democrazia partecipativa capace di incidere nei processi decisionali urbanistici considerando anche i crescenti populismi. In questo primo contributo, si difende la necessità di una nuova ecourbanistica, sostenuta da una figura rinnovata di urbanista intellettuale, capace di confrontarsi criticamente con le pubbliche amministrazioni anche grazie alla democrazia partecipativa dell’associazionismo civico
Rispondendo ad alcune domande, l’autore illustra la rilevanza che dovrebbe avere nei processi decisionali urbanistici, anche in Italia, la consultazione dei cittadini nella deliberative democracy. Citando la recente esperienza in India dell’Urban Transport Project a Mumbai e la costruzione di un’autostrada di interesse intercomunale in Francia, Sabino Cassese spiega perché lo scarso ricorso alla democrazia partecipativa a livello amministrativo sia oggi un problema, anche davanti alle diverse forme di populismo che sembrano crescere in tutta Europa.
Credendo nell’importanza della partecipazione anche per l’attuale urbanistica e nella validità ancora oggi dell’insegnamento del suo maestro a riguardo, Franco Mancuso ricorda due procedure partecipative che ha vissuto con G. De Carlo, entrambe caratterizzate dalla sua fiducia nella partecipazione come momento essenziale di ogni processo di progettazione. La prima alla fine degli anni Cinquanta per la redazione del Piano Regolatore di Urbino e la seconda all’inizio degli anni Settanta per la progettazione del villaggio Matteotti a Terni.
Il principio dei vasi comunicanti ci permette di concettualizzare il fatto che i processi territoriali, letti a una scala vasta e non solo locale, vanno intesi come flussi che esprimono una certa relazione tra luoghi. Ne deriva la necessità di ripensare alla questione abitativa da problema “locale” (di eccessiva pressione nei luoghi attrattivi o viceversa di abbandono del costruito in quelli marginali) a problema di “relazione” – o di flussi – tra territori.
La questione abitativa accompagna tutta la vita di un individuo e per questo non può essere affrontata da un unico punto di vista. Essa si manifesta come un “fatto sociale complesso” e per questa sua natura multidimensionale necessita di essere valutata rispetto a tutti i fattori che la influenzano. Ad oggi in Italia la determinazione del disagio abitativo è misurata dal CIPE attraverso la lista di Comuni ad Alta Tensione Abitativa, aggiornata l’ultima volta nel 2003 e che utilizza come unico indicatore il numero di residenti nel Comune. La Regione Toscana, con l’Indice Sintetico di Condizione Abitativa utile a quantificare e qualificare la presenza di criticità abitative alla scala comunale, risulta essere una buona pratica per supportare adeguatamente i policy makers.
La relazione tra patrimonio culturale e sviluppo è stata oggetto di grande interesse negli ultimi 20-30 anni. Diversi canali attraverso i quali questo legame funziona e differenti prospettive sull’argomento continuano ad essere esplorati e la letteratura recente ci aiuta nella comprensione di questi temi anche con libri che ci avvicinano ai meccanismi virtuosi che trasformano il patrimonio culturale in un volano di sviluppo. Cinque titoli di recente pubblicazione rappresentano tasselli importanti per la composizione del quadro complessivo.
La pubblica amministrazione ha adottato tre politiche a supporto degli spazi di coworking in Italia: le politiche del lavoro, di innovazione sociale e di sviluppo locale. La pandemia ha innescato una nuova domanda di spazi di lavoro pubblici sulla stregua delle esperienze di successo nel nord Europa. Privati cittadini hanno promosso la costituzione di ‘presidi di comunità’ ottenendo un sostegno pubblico. In questo contesto si inserisce l’Associazione di Promozione Sociale “South Working-Lavorare dal Sud” che studia e monitora i presidi di comunità come luoghi in cui stimolare l’ecosistema creativo locale e instaurare un fertile rapporto tra la comunità dei south worker e le comunità locali.
Il paradigma della smartness e dell’infrastrutturazione tecnologica è mobilitato nelle politiche europee come strategia onnicomprensiva di superamento dei divari, valutando come il “diritto alla connessione” si intersechi con nuovi flussi e reti delle geografie del lavoro in Italia, ridisegnate dal massiccio ricorso al lavoro da remoto durante la pandemia da Covid-19. In particolare, si valuta come, sul piano delle politiche, la digitalizzazione sia sempre più intesa non tanto come infrastrutturazione tecnologica ma catalizzatrice di processi di innovazione basati sul capitale umano.
Il patrimonio culturale, se adeguatamente valorizzato, può rappresentare un motore di sviluppo locale. Mettere la cultura al centro di politiche dedicate allo sviluppo significa puntare ad investire sulle specificità locali, sulle potenzialità delle risorse territoriali, sulle conoscenze, le capacità e il capitale sociale allo scopo di stimolare creatività, innovazione e progresso sostenibile. Le potenzialità del patrimonio culturale sono molteplici, come le sfide da affrontare per garantire strategie di valorizzazione lungimiranti ed efficaci.
La rivista è aperta a coloro che ritengono di avere un contributo da offrire al dibattito. La collaborazione avviene promuovendo articoli di carattere puntuale e/o gruppi di articoli coordinati su un tema. I contributi hanno una lunghezza compresa tra quattro e seimila caratteri. Per ogni richiesta di approfondimento: info@dite-aisre.it
La storia dell’ex Caserma Trieste racconta le politiche atte a riscattare quest’area abbandonata per farne un modello utile a realtà simili. Purtroppo, nel quadro geopolitico grandemente mutato, l’importanza del confine nord-orientale italiano assume un nuovo ruolo e la retrocessione dei luoghi ex-militari alle comunità locali è più così certa.
In anni recenti molti esponenti del mondo accademico e tra i policy makers si sono schierati contro la narrazione dominante che le zone marginali siano destinate ad un inesorabile destino di abbandono e lenta scomparsa. Esistono in realtà alcuni territori, che abbiamo definito ‘vibranti’, capaci di resistere alla tendenza allo spopolamento adattandosi alla loro perifericità. Comprendere quali siano gli elementi esogeni, o quali le risorse endogene su cui hanno fatto perno, diviene un importante fattore di conoscenza per chi ha la responsabilità di proporre strumenti per promuovere la coesione territoriale e ridurre le disparità territoriali.
Il reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane è da anni oggetto di riflessione e costruzione di politiche pubbliche in diverse metropoli globali. L’insediamento e la crescita di imprese nel campo della manifattura digitale e del nuovo artigianato sono perseguiti allo scopo di contribuire al rilancio del ceto medio correlato a nuovi processi di rigenerazione. Tale tematica chiama in causa il rapporto fra aree urbane e territori produttivi che nel caso di Milano suggerisce nuove forme di divisione del lavoro fra il capoluogo lombardo e il Made in Italy su scala nazionale.