21 Novembre, 2024

Giustizia spaziale come spazio d’azione

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Recentemente è emerso un punto di vista scientifico che identifica la “città come spazio (e prodotto) d’azione” (Moroni, Cozzolino, 2019). Riferendoci al contesto urbano, un’azione può essere considerata come il prodotto di un preciso piano sviluppato da un attore (o attori molteplici che cooperano) ai fini di modificare, adattare, sviluppare un determinato ambito per il raggiungimento di certi obiettivi prestabiliti. Azioni rilevanti per il contesto urbano possono essere, ad esempio, la rifunzionalizzazione di un certo edificio/terreno (o parte di esso) o la costruzione/modificazione di edifici o complessi di varia natura. Un aspetto fondamentale, da questo punto di vista, è la proprietà, ovvero quella relazione socialmente riconosciuta tra un agente urbano e un oggetto urbano (come un edificio) che conferisce un certo potere di azione e controllo su tale oggetto. Se la città viene letta attraverso questa lente interpretativa può offrire spunti maggiormente dinamici rispetto ad altre letture più classiche come, ad esempio, quelle morfo-tipologiche dell’ambiente costruito o allocative/distributive di risorse, infrastrutture e servizi. Leggere la città come spazio (e prodotto) d’azione permette di interpretare le dinamiche che hanno portato alla formazione di determinate configurazioni socio-spaziali ma, soprattutto, ci fa riflettere sulla loro capacità di poter accogliere nuove azioni che, per ovvie ragioni, seppur sviluppabili all’interno di un quadro di riferimento pianificatorio e regolativo, sono per loro stessa natura imprevedibili. Azioni urbane specifiche dipendono infatti dalla volontà, ambizione, risorse, preferenze e scelte dei vari attori che detengono potere d’azione e controllo spaziale.

Se riconosciamo la valenza epistemica di quanto appena detto, vi sono due dirette conseguenze rilevanti.

Primo, il piano urbanistico (pubblico) è solo uno di tanti piani che contribuiscono allo sviluppo della città. Esso agisce in un contesto complesso in cui co-esistono innumerevoli piani di natura privata. Il primo e i secondi, contribuiscono entrambi alla trasformazione della città.

Secondo, leggere la città come spazio d’azione ci permette di stabilire che tipo di ordine possiede un determinato contesto urbano. Se prevalentemente “spontaneo o emergente” (ovvero, prodotto da innumerevoli azioni indipendenti tra loro nel tempo) o prevalentemente “pianificato” (ovvero, un ordine prestabilito da qualcuno mediante un disegno specifico imposto spazialmente). Inutile dirlo, nei contesti urbani questi due ordini co-esistono. Sono complementari.

Figura 1 – Meatpacking district – Fotografia di Dequick Laurent, www.ldkphoto.com.

Quanto appena detto può essere utilizzato in maniera semplicemente descrittiva e analitica in determinate analisi urbane come, ad esempio per ricostruire lo sviluppo incrementale di alcuni contesti o per quantificare l’apertura di specifici contesti verso sviluppi “spontanei” (ovvero, sviluppi auto-generativi, e quindi non dettati dall’alto). Ma può essere utilizzato anche da un punto di vista etico e valoriale, ad esempio per interpretare la bontà di nuovi progetti di trasformazione a scala vasta o per giudicare la giustizia spaziale di alcuni contesti esistenti (ad esempio alcuni quartieri).

Se prendiamo come riferimento alcuni valori come pluralismo, diversità, democrazia e auto-determinazione, una città giusta è una città in cui il potere d’azione e controllo sullo spazio costruito è altamente distribuito tra molti attori e non concentrato nelle mani di pochi. Questo concetto può essere tradotto, in maniera più operativa, come principio di distribuzione delle responsabilità progettuali. Quando una città, o parte di essa, si trasforma sui dettami di pochi attori, possiamo dire che la responsabilità progettuali sono concentrate. Solitamente, città o ambiti urbani di questo tipo sono poco vibranti e dinamiche; sicuramente molto “controllate”. Inoltre, ambiti di questo tipo solitamente limitano la capacità e potenzialità estetica delle città in quanto non garantiscono ad una ampia fetta della popolazione di esternare pubblicamente e visivamente i propri gusti. In altri contesti, ho definito questi ambiti “Anti-Adaptive Neighborhoods” (Cozzolino, 2020). Contrariamente, contesti urbani in cui le responsabilità progettuali sono ampiamente distribuite e decentrate tenderanno ad accogliere visivamente, ma anche a livello funzionale, la complessità intrinseca della popolazione urbana. In questi ambiti vi saranno molti più agenti nella posizione di poter manifestare i propri gusti estetici e intraprendere nuove azioni. (Ovviamente è impensabile distribuire la responsabilità progettuale a tutti i cittadini. Banalmente, non tutti vogliono o possono assumersi tale responsabilità).

Se da una parte la concentrazione proprietaria è spesso il frutto di transazioni e accumulazioni legittimamente ottenute, altre volte la concentrazione è il risultato di precise politiche pubbliche e determinati approcci al disegno urbano. Da questo punto di vista, vi è molto lavoro da fare per sviluppare nuove idee e approcci su come sfavorire la concentrazione di tali responsabilità progettuali e, al contempo, generare contesti che abbiano la capacità di poter accogliere (realmente) la complessità urbana (Cozzolino, 2023).

Quanto detto prova, umilmente, ad ampliare la riflessione attorno alla città giusta (o alla giustizia spaziale) verso campi solitamente meno esplorati ma, tuttavia, meritevoli di essere presi in considerazione. In secondo luogo, è giusto osservare che quanto presentato offre una meta-idea di giustizia spaziale. Ovvero, si limita a dire che una città che si trasforma ed evolve in maniera altamente spontanea, decentralizzata e policentrica, in quanto più individui sono nella condizione di intraprendere azioni urbane rilevanti, è, a mio modo di vedere, una città che può essere più giusta. Tuttavia, quanto proposto non dice molto a riguardo delle condizioni socio-spaziali specifiche che possono emergere da una situazione in cui il potere d’azione e controllo è ampiamente distribuito e diversificato. In altre parole, questa idea non è nient’altro che una precondizione da cui diversi scenari possono continuamente emergere ed evolversi. Altre condizioni di natura più sostanziale (come ad esempio la presenza di alcune infrastrutture per la mobilità, standard minimi relativi alle condizioni abitative o la presenza di servizi indispensabili, nonché riflessioni di carattere normativo, ad esempio sul tema della tassazione) dovrebbero completare il quadro di riferimento delineato.

Approfondimenti

Moroni S., Cozzolino S. (2019), Action and the city. Emergence, complexity, planning. Cities, 90, 2019: 42-51.

Cozzolino S. (2020), The (anti) adaptive neighbourhoods. Embracing complexity and distribution of design control in the ordinary built environment. Environment and Planning B: Urban Analytics and City Science, 47, 2: 203-219.

Cozzolino S. (2023), A crisis of lost values: rediscovering the relationship between urban beauty, democracy and complexity. In: Portugali J. (ed.), The Crisis of Democracy in the Age of Cities. Cheltenham: Edward Elgar, 220-245.

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