31 Marzo, 2025

Gli artigiani nella città che si rigenera

Tempo di lettura: 5 minuti

Nella calle di Venezia dove abito, due artigiani, un fabbro e un vetraio, svolgono le proprie attività in barba alla presunta desertificazione turistica della città. Parzialmente protetti dalla complessa geometria dell’inafferrabile intrico viario del centro storico, resistono e presidiano, apparentemente senza troppe preoccupazioni, le proprie attività imprenditoriali. Entrambi possono essere eletti a protagonisti – involontari – di una più ampia riflessione sulle città e sul modo in cui queste ultime possono crescere e svilupparsi.

La rigenerazione urbana è da qualche anno al centro del dibattito sul futuro delle città. Il tratto distintivo della rigenerazione urbana rispetto ai più maturi e consolidati approcci della riqualificazione consiste nell’attenzione alla relazione virtuosa tra la qualità degli spazi e la qualità della vita di cui godono i membri della comunità. La dimensione materiale dello spazio deve dunque integrarsi con gli aspetti immateriali della vita della città. La sicurezza, il benessere, le relazioni che le persone intrattengono hanno pari importanza rispetto alla forma degli edifici privati e dello spazio pubblico.

Ancora, la rigenerazione urbana intrattiene una relazione con la prossimità. Nella città dei quindici minuti – per riprendere la felice espressione di Carlos Moreno – dovremmo poter soddisfare tutte le nostre esigenze di base. In un quarto d’ora a piedi o in bicicletta dovremmo poter accedere al lavoro, alle esigenze della nostra vita quotidiana, alle attività di cura, alle principali attività dello svago e del tempo libero.

Nella città di prossimità, i cittadini si riappropriano dello spazio pubblico e ritornano protagonisti delle relazioni di comunità. La città dei quindici minuti è anche una città rigenerata perché i membri della comunità si incontrano e stabiliscono nuovi legami in spazi altrimenti sottratti alla vita collettiva.

Commercianti e artigiani sono protagonisti della città di prossimità e della città che si rigenera. E ciò per più ragioni. Il commercio e l’artigianato alimentano un’economia locale dai servizi diversificati in quartieri altrimenti a rischio di appiattimento e omologazione; forniscono sicurezza ai membri della comunità nella relazione che ogni giorno si rinnova tra spazi privati e spazi pubblici: letteralmente danno luce e sono presidio attivo di piazze, strade, vicoli; alimentano capitale sociale e beni relazionali, per usare delle espressioni che gli studi economici più attenti alle dimensioni sociali impiegano senza esitazioni.

Ritorniamo a Venezia. Perché il fabbro e il vetraio della calle del mio sestiere possano concorrere alla rigenerazione del quartiere e a una vitale economia di prossimità due condizioni devono essere verificate. La prima è legata alla natura delle attività dei due artigiani, quello che Michael Porter chiamerebbe il loro vantaggio competitivo. Entrambi devono essere in grado di svolgere le proprie attività con un livello di specializzazione che li rende non sostituibili da attività maggiormente standardizzate e dunque, a parità di servizio, di norma, più competitive. Il che, nel caso veneziano, significa sapersi adattare alla complessa logistica cittadina, alla difficoltà del suo mercato del lavoro e ai valori degli immobili senza per questo eccedere nei prezzi praticati.

La seconda riguarda la natura delle relazioni che queste attività intrattengono con la città. L’esiguità degli spazi privati porta spesso a confondere i laboratori e la calle – durante il giorno non è improbabile imbattersi in cancellate in corso di lavorazione oppure in future finestre destinate a essere sistemate in qualche casa del quartiere – e l’incrocio tra chi abita e chi lavora si fa inevitabile. La natura degli spazi e delle attività rende, in questo specifico caso, l’incontro un’abitudine quotidiana.

La competitività delle attività artigiane e il loro arricchimento alla vita collettiva non sono tuttavia condizioni scontate. Al contrario, la capacità di competere sembra essere merce rara nelle nostre città, con l’effetto di un progressivo impoverimento delle attività di artigiani e commercianti spesso espulsi per dare spazio ad attività maggiormente capaci di remunerare la proprietà immobiliare.

Commercianti e artigiani, poi, non necessariamente dialogano con la comunità. Non sempre alimentano la ricchezza di strade e quartieri, magari semplicemente perché si tratta di attività concentrate sul proprio business e scarsamente inclini a perdere tempo nell’interazione con ciò che avviene nello spazio pubblico.

Il fabbro e il vetraio che incrocio sotto casa quasi ogni mattina sono, per induzione, esempi di un ragionamento più ampio. Commercio e artigianato di qualità sono dunque attività vitali e capaci di alimentare la vita cittadina quando si rivelano competitive e in relazione con la vita delle comunità.

Se dunque le città puntano alla città dei quindici minuti, alle città rigenerate e sicure, allora le politiche devono avere due chiari riferimenti. Il primo è legato alla forza economica di attività capaci di reinventarsi e mantenersi redditizie. Puntare, tra l’altro, su artigiani digitali, su attività commerciali ricche di componenti immateriali e altamente specializzate, su attività ibride capaci di unire più elementi di produzione e servizio diviene così decisivo per mantenere un ecosistema ricco e vario, nella scia della grande tradizione italiana del bello e ben fatto.

Il secondo è legato invece al dialogo con la città, alla possibilità che commercianti e artigiani escano dai loro laboratori e dai loro negozi per alimentare attivamente la relazione della comunità. L’esempio di Bari con il suo programma d_Bari[1] oppure alcune esperienze condotte dalla Direzione lavoro del Comune di Milano[2] dimostrano quanto sia possibile tenere insieme, in prospettiva, competitività e prossimità, ritorni economici e responsabilità sociale.
Le città italiane sono luoghi di lavoro, di commercio, di vita. I centri storici, in particolare, hanno per secoli tenuto insieme residenza e lavoro, scambi materiali e produzione culturale, servizi immateriali e artigianato. Questa ricchezza oggi ha nomi nuovi – la città prossima, la città dei quindici minuti – ma il senso di un’economia che si fa vita – come nella mia calle – resta cifra essenziale delle nostre città e obiettivo da perseguire senza esitazione.


[1] https://www.dbari.it/progetti/scuola-barese-commercio/

[2] https://www.dite-aisre.it/perche-parliamo-di-spazi-ibridi-socioculturali/

Moreno, C. (2024). La città dei 15 minuti: Per una cultura urbana democratica. add editore

Porter, M. E., & Pacifico, M. (1996). Il vantaggio competitivo. Edizioni di comunità.

Articoli correlati

Quali scenari di crescita per le regioni Europee grazie alla nuova politica di commercio internazionale?

Negli ultimi anni, il mondo ha attraversato cambiamenti strutturali che sarebbero stati inimmaginabili solo cinque anni fa. La nuova politica commerciale concepita dall'Unione Europea rappresenta una reazione a questi eventi. All’interno del progetto Twin Seeds, grazie a simulazioni di un modello di previsione macroeconomica della crescita regionale, chiamato MASST, è emerso che lo scenario della Nuova Politica Commerciale europea rischia di essere caratterizzato da forte eterogeneità territoriale. In particolare, questa politica rischia di condurre ad aumenti delle disparità di reddito internazionali, più che compensate da riduzioni delle disparità di reddito intra-Paese. La riduzione delle disparità regionali registrata in questo scenario sarebbe tuttavia dovuta al rallentamento delle aree forti, con una conseguente peggior performance complessiva del sistema.

Il doppio lato oscuro del back-shoring

La pandemia da COVID-19 e l'invasione russa dell'Ucraina hanno evidenziato la vulnerabilità dell'Unione Europea alle catene globali del valore, rilanciando il dibattito sul back-shoring per stimolare produttività e occupazione. Il progetto Twin Seeds ha mostrato tuttavia che il back-shoring non ha solo effetti positivi, in quanto può accrescere le disuguaglianze salariali, favorendo i lavoratori qualificati nelle regioni ricche e penalizzando quelli meno qualificati nelle aree svantaggiate. Il risultato è un doppio lato oscuro del backshoring: un peggioramento sia delle disparità intra sia inter regionali. Questo sottolinea la necessità di politiche redistributive in periodi di back-shoring volte a contenere le disparità regionali.

Il nearshoring: un’opportunità per le aree meno avanzate dell’Europa?

La pandemia e il conflitto in Ucraina hanno riacceso il dibattito sulla dipendenza dell'UE dalle catene globali del valore. L'approccio della ”Open Strategic Autonomy” promuove il nearshoring per rafforzare resilienza e competitività, e i dati mostrano che un beneficio di crescita esiste per le regioni coinvolte. Tuttavia, l'impatto sulle disparità territoriali è sfaccettato: nelle regioni a basso costo del lavoro il nearshoring porta una riduzione delle disuguaglianze, mentre nelle aree ad alta automazione tende ad accentuarle. Data l'eterogeneità dei territori coinvolti, le politiche di supporto al nearshoring devono considerare attentamente questi effetti per evitare un ampliamento delle disparità.

Perché è opportuno che la manifattura in città torni di moda

Negli ultimi anni, la manifattura urbana ha perso centralità, influenzata da crisi sistemiche e dall’assenza di una visione riformista. Sebbene digitalizzazione e innovazione promettessero una nuova era, il focus è slittato verso la rendita. Iniziative come Milano Certosa District mirano a riportare la manifattura in città tramite hub artigianali, favorendo innovazione e rigenerazione urbana, con ricadute economiche e sociali significative.

I vantaggi economici e sociali del reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane

Il reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane è da anni oggetto di riflessione e costruzione di politiche pubbliche in diverse metropoli globali. L’insediamento e la crescita di imprese nel campo della manifattura digitale e del nuovo artigianato sono perseguiti allo scopo di contribuire al rilancio del ceto medio correlato a nuovi processi di rigenerazione. Tale tematica chiama in causa il rapporto fra aree urbane e territori produttivi che nel caso di Milano suggerisce nuove forme di divisione del lavoro fra il capoluogo lombardo e il Made in Italy su scala nazionale.