Come si transita da “località balneare” a “città di mare”?
Non è semplice esordire in un testo con una domanda, ma altro non saprei fare per trasmettere la condizione interrogante che avvolge il futuro delle spiagge italiane a poche settimane dalla decisione con cui l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha sancito la scadenza delle concessioni demaniali al 2023, aprendo un fronte di riflessione – speriamo non un fronte di guerra – vasto quanto lo sono i temi che tocca: la città, gli investimenti privati lungo tutto il perimetro della costa italiana, la tutela del diritto allo spazio pubblico, i nuovi costumi, i nuovi bisogni e le nuove forme di relazione a valle della paura pandemica. Tutto fa intendere che è in vista un paesaggio sul nascere, il cui movimento generativo scatena buoni auspici e mal di pancia negli operatori che garantiscono ogni anno il rito balneare.
Giova innanzitutto ricordare che la conquista degli arenili è un fenomeno relativamente recente nei tempi della città. Ha circa cent’anni, e infatti molti di noi conservano il racconto dei nonni nei loro primi “fine settimana al mare” o nella villeggiatura elioterapica; in molti abbiamo frequentato le colonie marine, tutti abbiamo un angolo di spiaggia preferito nel quale siamo tornati e ritornati di anno in anno a mettere in scena questa pratica antropologica che ci porta a “stare” nello stesso posto, sotto lo stesso ombrellone, con lo stesso gestore, con le stesse facce e con lo stesso panorama piatto che si liquefà all’orizzonte. Verrebbe da definirla “Sindrome di Scerbanenco”, in ricordo del grande scrittore di gialli che trovava ispirazione stazionando sotto gli sporti del bar “Il Gabbiano” sul Lungomare a Lignano Sabbiadoro: un luogo semplice e nemmeno tanto affascinante se paragonato ai bagni marini a copertura rovescia progettati dal grande Gianni Avon nelle immediate vicinanze. Quanti di noi hanno goduto di questa sindrome non diagnosticata togliendosi la sabbia dai piedi o replicando ogni altro gesto ripetitivo che solo un “tipo da spiaggia” si concede di fare? E’ come se diventassimo improvvisamente una categoria sociale temporanea e ben collocata in un luogo limitato nel tempo e nello spazio, tutto uguale di stagione in stagione.
Ma eccoci ora al cambio di scena del giallo narrativo!
Improvvisamente quella porzione di località balneare che va dai parcheggi alla linea del mare può dismettere i panni di solo luogo stagionale e finalmente ospitare una comunità permanente più dinamica, connessa e vocata a esperienze simultanee. Ora quella porzione di territorio ambisce a diventare un paesaggio, ad avere uno spessore e ad offrire una lettura moderna del loisir, del tempo sospeso e apparentemente superfluo; e così come sta nascendo la categoria del metro-montano (che raggiunge e lavora in alta quota durante tutte le stagioni) altrettanto sta nascendo quella del metro-marino, talchè non stupisce che una città come Jesolo Lido si stia interrogando se non sia giunto il momento di arretrare la linea di tessuto urbano costruito a favore della spiaggia. E’ questa una forma di ripascimento urbano costruttivo che per proporzioni può rappresentare la più grande occasione storica di progetto dopo l’inurbamento delle città nei due secoli passati. Con un grande distinguo: un tempo l’esplosione della dimensione urbana avvenne per soddisfare lo stato di necessità (uscire dalla povertà e dare un reddito alle famiglie), oggi ripensare le spiagge italiane significa offrire alle stesse comunità di base il valore aggiunto di infinite superfici pubbliche in cui mettere in scena una certa idea di vita contemporanea.
Ditemi voi se non è questo uno straordinario libro da scrivere sulla modernità pioniera, che tiene insieme pezzi di storia spingendo avanti le lancette del tempo progettuale!