2 Aprile, 2025

Interazione tra elementi endogeni e macroeconomia nella dinamica economica del territorio

Tempo di lettura: 5 minuti

In economia regionale, definirei uno dei lasciti più importanti di Roberto Camagni quello di credere fermamente al ruolo attivo e propulsivo degli elementi squisitamente territoriali nella dinamica economica locale, coniugandoli al tempo stesso con elementi macroeconomici di cui non dimentica e non nega, da bravo economista qual era, l’importanza nello spiegare le traiettorie di crescita economica di un’area.
Per quanto attiene gli elementi squisitamente territoriali, Roberto inserisce in letteratura un dibattito ricco di novità, soprattutto per l’interpretazione delle economie di agglomerazione. Sulla scia della scuola del distretto industriale che pionieristicamente associa le economie di agglomerazione allo sviluppo locale, Roberto sottolinea l’importanza delle economie di agglomerazione nello sviluppo locale. Tuttavia, si discosta dai distrettualisti teorizzando che il ruolo delle economie di agglomerazione non risiede solo negli aspetti statici, di produttività delle imprese, ma insiste perché il territorio venga interpretato come fonte di economie dinamiche, di capacità innovativa per le imprese in esso localizzate. Si appassiona pertanto ad un approccio dal basso in chiave evolutiva, e nella sua teoria del milieu innovateur Roberto coniuga con maestria la teoria della path-dependence degli economisti dell’innovazione alla capacità dei territori di generare processi di apprendimento collettivo, localizzati, squisitamente territoriali, appassionando un gruppo internazionale di ricerca, il GREMI, che coordina su questi temi per anni (Camagni, 1991).
Allo stesso modo, in Economia urbana Roberto supera l’approccio alquanto semplicistico della crescita della città attraverso economie di agglomerazione statiche. Roberto ritiene una banale semplificazione l’idea che la città più grande, grazie a più elevate economie di agglomerazione, sia quella che cresce di più, e ricorda invece che la città, di qualsiasi dimensione essa sia, cresce se crescono nel tempo le sue economie di agglomerazione. Pertanto, una volta di più, Roberto pone al centro dell’analisi della crescita locale le economie di agglomerazione dinamiche, riuscendo a superare la banale ed erronea visione che solo la dimensione urbana spiega i vantaggi che la città genera. In quest’ottica, trovano giustificazione le elevate diseconomie di agglomerazione che colpiscono le piccole e medie città, che entrano in rendimenti decrescenti nel tempo quando non sono in grado di affrontare cambiamenti strutturali volti ad ospitare funzioni a più elevato valore aggiunto. La città pertanto, indipendentemente dalla sua dimensione, continua a generare vantaggi se, nel crescere, sceglie la strada del rinnovamento e dell’innovazione, suggerendo un’interpretazione in chiave stocastica, e non determinista, della crescita delle città. Così facendo, Roberto enfatizza il ruolo delle azioni normative nell’indirizzare i percorsi di crescita e sviluppo urbano (Camagni et al., 2016).
Benché intellettualmente molto legato all’interpretazione delle dinamiche locali attraverso le economie di agglomerazione, Roberto non si ferma a quest’ultime per l’interpretazione della crescita delle regioni e delle città. Consapevole dell’importanza della dimensione macroeconomica per l’interpretazione della dinamica economica di un’area, Roberto sottolinea la necessità di un «modello» macroeconomico che sappia contenere al suo interno gli aspetti territoriali, comportamentali e immateriali del processo di sviluppo. Come esistono le micro-fondazioni della macroeconomia, così Roberto sostiene che si debba andare alla ricerca delle micro-fondazioni territoriali della crescita regionale.
Con questa convinzione spinge il suo gruppo di ricerca nella costruzione di un modello macro-econometrico di crescita regionale, che coniughi una logica tipicamente macroeconomica con elementi squisitamente territoriali. Nasce, sotto la sua guida, il modello MASST, così chiamato per la sua capacità di contenere aspetti macroeconomici, settoriali, sociali e territoriali nell’interpretazione della dinamica locale (Camagni et al., 2008).
Il grande salto concettuale del modello non sta nel presentare una nuova teoria, quanto nell’integrare teorie esistenti in un quadro organico dove trovino spazio aspetti macroeconomici e elementi territoriali. Di fianco ad un tasso di crescita nazionale spiegato da elementi di domanda, macroeconomici, che trovano nella teoria keynesiana la fonte per l’individuazione delle loro determinanti, Roberto suggerisce l’interpretazione del differenziale regionale attraverso elementi di offerta generatori di effetti diversificati tra regioni. Le caratteristiche territoriali analiticamente presenti nel modello rappresentano al tempo stesso gli elementi propulsivi della crescita locale e gli elementi alla base della capacità locale di risposta ai trend esogeni aggregati. Trovano spazio nel modello gli elementi di capitale territoriale, convenzionali e innovativi, le interazioni e le sinergie tra singoli elementi, i vantaggi derivanti dalla specializzazione settoriale, fonte di economie di localizzazione o di distretto, le economie di urbanizzazione, ed infine le complesse leggi secondo le quali i fenomeni innovativi avvengono in modo differenziato sul territorio.
Il connubio macroeconomia-specificità territoriali risulta vincente nell’interpretazione dei fenomeni locali. Ne è prova la capacità interpretativa del modello che, utilizzato per la generazione di diversi scenari, ha dato luogo a interpretazioni risultate nel lungo periodo veritiere. La previsione dell’impatto del COVID-19 a livello regionale fornita dal MASST è risultata molto vicina alla realtà, più di quelle di altri modelli costruiti con logiche diverse, così come nello scenario estrapolativo della fuoriuscita dalla crisi del 2008, il MASST ha previsto la ripresa, successivamente avvenuta, della divergenza tra livelli di GDP pro capite in Europa, facendo insorgere i funzionari della DGRegio alla presentazione dei risultati (Camagni, Capello, 2014).
Con questo approccio, Roberto dà una grande lezione. Ci ricorda come la complessità delle dinamiche economiche a livello locale sia tale che per comprenderla a fondo è necessario coniugare visioni all’apparenza contrastanti. Su questo connubio è necessario saper lavorare in modo innovativo. Lascia questo insegnamento alla disciplina, e in particolare al suo gruppo di ricerca, che cercherà di portare avanti i suoi insegnamenti.

Ulteriori approfondimenti

  • Camagni R. (ed.) (1991), Innovation networks: spatial perspectives. London: Belhaven Press.
  • Capello R., Camagni R., Fratesi U., Chizzolini B. (2008), Modelling Regional Scenarios for an Enlarged Europe. Berlin: Springer Verlag.
  • Camagni R., Capello R. (2014), Macroeconomic Conditions beyond Territorial Elements in Forecasting Regional Growth: the MASST3 Model. In: ESPON (ed.), Science in Support of European Territorial Development and Cohesion. Luxembourg: ESPON. 139-145. ISBN 978-2-919777-53-2.
  • Camagni R., Capello R., Caragliu A. (2016), Static vs. Dynamic Agglomeration Economies: Spatial Context and Structural Evolution Behind Urban Growth. Papers in Regional Science, 95, 1: 133-159.

Articoli correlati

Quali scenari di crescita per le regioni Europee grazie alla nuova politica di commercio internazionale?

Negli ultimi anni, il mondo ha attraversato cambiamenti strutturali che sarebbero stati inimmaginabili solo cinque anni fa. La nuova politica commerciale concepita dall'Unione Europea rappresenta una reazione a questi eventi. All’interno del progetto Twin Seeds, grazie a simulazioni di un modello di previsione macroeconomica della crescita regionale, chiamato MASST, è emerso che lo scenario della Nuova Politica Commerciale europea rischia di essere caratterizzato da forte eterogeneità territoriale. In particolare, questa politica rischia di condurre ad aumenti delle disparità di reddito internazionali, più che compensate da riduzioni delle disparità di reddito intra-Paese. La riduzione delle disparità regionali registrata in questo scenario sarebbe tuttavia dovuta al rallentamento delle aree forti, con una conseguente peggior performance complessiva del sistema.

Il doppio lato oscuro del back-shoring

La pandemia da COVID-19 e l'invasione russa dell'Ucraina hanno evidenziato la vulnerabilità dell'Unione Europea alle catene globali del valore, rilanciando il dibattito sul back-shoring per stimolare produttività e occupazione. Il progetto Twin Seeds ha mostrato tuttavia che il back-shoring non ha solo effetti positivi, in quanto può accrescere le disuguaglianze salariali, favorendo i lavoratori qualificati nelle regioni ricche e penalizzando quelli meno qualificati nelle aree svantaggiate. Il risultato è un doppio lato oscuro del backshoring: un peggioramento sia delle disparità intra sia inter regionali. Questo sottolinea la necessità di politiche redistributive in periodi di back-shoring volte a contenere le disparità regionali.

Il nearshoring: un’opportunità per le aree meno avanzate dell’Europa?

La pandemia e il conflitto in Ucraina hanno riacceso il dibattito sulla dipendenza dell'UE dalle catene globali del valore. L'approccio della ”Open Strategic Autonomy” promuove il nearshoring per rafforzare resilienza e competitività, e i dati mostrano che un beneficio di crescita esiste per le regioni coinvolte. Tuttavia, l'impatto sulle disparità territoriali è sfaccettato: nelle regioni a basso costo del lavoro il nearshoring porta una riduzione delle disuguaglianze, mentre nelle aree ad alta automazione tende ad accentuarle. Data l'eterogeneità dei territori coinvolti, le politiche di supporto al nearshoring devono considerare attentamente questi effetti per evitare un ampliamento delle disparità.

I vantaggi economici e sociali del reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane

Il reinsediamento manifatturiero nelle aree urbane è da anni oggetto di riflessione e costruzione di politiche pubbliche in diverse metropoli globali. L’insediamento e la crescita di imprese nel campo della manifattura digitale e del nuovo artigianato sono perseguiti allo scopo di contribuire al rilancio del ceto medio correlato a nuovi processi di rigenerazione. Tale tematica chiama in causa il rapporto fra aree urbane e territori produttivi che nel caso di Milano suggerisce nuove forme di divisione del lavoro fra il capoluogo lombardo e il Made in Italy su scala nazionale.

Industria 4.0: una opportunità solo per aree avanzate?

La quarta rivoluzione tecnologica è ormai una realtà, evolvendo a ritmi esponenziali mai registrati in precedenza, comportando grandi vantaggi e drastiche trasformazioni socioeconomiche. Gli investimenti contenuti richiesti dalle nuove tecnologiche permettono non solo ai grandi centri di sviluppo tecnologico ma anche alle aree periferiche di partecipare al cambiamento, con miglioramenti sulla vita sociale. Infatti, anche in regioni perifiche con quote di adozione di robot molto elevati l’effetto sulla crescita locale supera quello rilevato nelle regioni più avanzate.