Partecipe e dialettico, Roberto Camagni ha costantemente seguito le vicende urbanistiche delle città italiane alternando con rara capacità discussione teorica e confronto operativo.
Sul piano teorico, Camagni ha costantemente spronato la cultura urbanistica a trattare i temi dei valori urbani e della rendita fondiaria con maggiore capacità critica. Lo ha fatto a partire dal suo manuale sui principi dell’economia urbana dove ha dedicato un importante capitolo al tema della rendita urbana (1). Di quest’ultima – per decenni il problema dei problemi della cultura urbanistica italiana – Camagni ha proposto una lettura articolata, in opposizione allo schematismo a volte presente tra gli urbanisti.
La rendita è meccanismo ottimizzante che permette la più efficiente distribuzione della risorsa spaziale e tuttavia, simultaneamente, essa permette a una classe di cittadini, in virtù di un mero diritto di proprietà, di appropriarsi di quota importante della ricchezza complessivamente prodotta. La rendita segnala contemporaneamente opportunità e problemi: valori immobiliari elevati sono controfaccia dell’attrattività di una città e, allo stesso momento, quegli stessi valori pongono un problema collettivo in quanto una loro frazione significativa è public value, con le parole di Marshall, e dunque deve ritornare alla comunità.
Non si tratta dunque di “esorcizzare” la rendita, quanto di governare la sua formazione e distribuzione. Non si tratta di comprimere senza ragione i valori di immobili e suoli, quanto di promuovere la loro distribuzione tra parti di città e tra proprietà e comunità.
Vaste programme, si dirà. Camagni indica tuttavia con chiarezza le linee da perseguire. Redistribuire la rendita è possibile attraverso interventi che ne modellino nuovamente la funzione attraverso interventi infrastrutturali in grado di produrre nuova città e attraverso prelievi di natura fiscale e urbanistica che consentano la restituzione di quota del valore alla comunità.
Non stupisce dunque l’attenta e convinta partecipazione di Camagni al dibattito che parte dalla metà degli anni ‘90 sugli strumenti legati alla perequazione urbanistica e alle soluzioni che da quello strumento prendono le mosse. Questa nuova famiglia di strumenti si pone in linea con la sua riflessione teorica: la perequazione infatti persegue “un obiettivo di politica fiscale e di distribuzione della rendita emergente” (2). La costruzione e lo sviluppo della città pubblica è allora possibile anche, e soprattutto, alla cattura dei plusvalori esito delle scelte pubbliche in merito ai destini della città privata.
Camagni intuisce il potenziale dei nuovi strumenti perequativi. Essi consentono di promuovere simultaneamente obiettivi di natura spaziale – una città compatta, ordinata sotto il profilo delle sue componenti ambientali e infrastrutturali – e di natura fiscale con la cattura dei capital gain altrimenti appannaggio esclusivo della proprietà immobiliare.
La sua attenzione riguarda non solo gli aspetti generali di un vasto movimento riformatore che interessa soprattutto le regioni dell’Italia settentrionale, ma si muove anche sul difficile terreno delle tecniche che permettono ai principi di farsi prassi di governo delle città. La corretta applicazione della perequazione passa per la determinazione delle aree oggetto del nuovo strumento, per l’attenta attribuzione di indici di edificabilità, per la puntuale valutazione delle rendite e dei profitti che lo sviluppo della città determina.
Negli anni più recenti il contributo al dibattito si muove lungo due direttrici di critica. In primo luogo, Camagni rileva lucidamente l’asimmetria tra le potenzialità dei principi e la povertà degli strumenti attuativi che, sul campo, stentano a sostanziare una nuova stagione riformatrice. L’eccessiva cautela legislativa, l’assenza di efficaci protocolli funzionali ai prelievi, la debolezza dei procedimenti di valutazione lo rendono scettico sulla possibilità di un percorso davvero in grado di riportare alla comunità il valore pubblico delle rendite urbane (3).
Un secondo piano di indagine e critica riguarda l’urbanistica della città di Milano. La vicenda degli scali ferroviari in cui il capoluogo lombardo rinuncia alla cattura del valore a fronte di un Accordo di programma che assicura a vaste aree urbane importanti volumetrie diviene un caso limite su cui si espone in prima persona, ritenendo come l’unica metropoli ancora capace di importanti investimenti immobiliari faccia un erroneo passo indietro rispetto al tema del recupero della rendita (5). Il caso di Milano evidenzia, inoltre, un’altra e ancora più pericolosa deriva. Gli strumenti elaborati per ristabilire condizioni di efficienza allocativa possono essere trasformati in radice, esaltando il ruolo della rendita fondiaria attraverso nuovi e originali asset finanziari. I diritti edificatori, almeno in potenza, si trasformano così in una finanziarizzazione della rendita di segno completamente opposto rispetto agli obiettivi di una stagione riformatrice che sembra aver perso direzione e slancio (4).
La lezione di Roberto Camagni resta potente perché capace di tenere insieme la raffinata concettualizzazione teorica e il confronto sulle concrete trasformazioni delle città. Questa lezione di serrato scambio tra teoria e azione ci accompagna e rappresenta un lascito prezioso per coloro che ancora cercano la difficile quanto ambiziosa sintesi tra impegno conoscitivo, efficacia operativa ed etica pubblica.
Ulteriori riferimenti
- R Camagni, Economia urbana, NIS, Roma, 1993
- R Camagni Considerazioni sulla perequazione urbanistica: verso un modello percorribile e giudizioso, in P Lombardi e E Micelli (a cura di) Le misure del piano, Angeli, Milano, 1999
- R Camagni La riforma della fiscalità urbanistica, in A Petretto e P Lattarulo (a cura di), Contributi sulla riforma dell’imposizione locale in Italia, Carocci, Roma, 2016
- R Camagni, E Micelli, S Moroni, Diritti edificatori e governo del territorio: verso una perequazione urbanistica estesa? Introduzione, Scienze Regionali, Vol. 13, n.2, 2014
- R Camagni, A Roccella, Accordo scali: il Comune non può rinunciare a 500 milioni, ArcipelagoMilano, 12 aprile 2017, https://www.arcipelagomilano.org/archives/46278