Intervista di Valentina Cirilli ad Annibale D’Elia
- In Italia la costituzione di un Elenco Qualificato degli Spazi Ibridi da parte di un’Amministrazione comunale rappresenta un’esperienza pilota. Come nasce la “Rete Spazi ibridi della Città di Milano” e a quali obiettivi risponde?
Non so se definirei la Rete Spazi Ibridi un intervento “pilota” e per raccontarla non partirei dagli obiettivi del Comune ma dal processo che ha portato alla sua costituzione. L’idea della Rete è nata tra la primavera e l’estate del 2021, trascorso il primo anno di pandemia. Gli spazi socioculturali erano stati costretti a ridurre al minimo le attività, se non ad interromperle del tutto. Alcuni avevano attivato servizi digitali per restare in contatto con le proprie comunità, altri si erano trasformati in centri di raccolta o smistamento di beni di prima necessità, altri ancora erano impegnati direttamente in attività solidali per il quartiere. Inoltre, a differenza di quanto avvenuto per i centri sportivi, nessuna previsione di legge era intervenuta per limitare l’impatto dei lockdown sulle molte realtà affidatarie di spazi comunali. In quel contesto di grande incertezza, ma anche di riscoperta del valore della prossimità, un gruppo di realtà attive in città ci ha inviato una mappatura e un documento di visione intitolato “Gli Spazi Ibridi di Milano”. Il documento conteneva una serie di istanze – riconoscimento, semplificazioni amministrative, soluzioni per rafforzare la sostenibilità economica e l’impatto sociale –, ma anche un invito ad aumentare la collaborazione con le istituzioni locali. Da lì è nato un dialogo con i promotori e, dopo qualche mese, abbiamo deciso di utilizzare lo strumento amministrativo più leggero che avessimo a disposizione: una sorta di albo che ci permettesse di proseguire il confronto e sondare l’interesse di altre realtà di aderire all’iniziativa, magari al di fuori delle reti di relazioni già esistenti. Oggi la Rete conta 20 spazi iscritti, anche molto diversi tra loro, ciascuno con la propria storia e il proprio pubblico. Per il Comune l’obiettivo era (e resta) aprire un canale per esplorare possibili ambiti di collaborazione con queste realtà senza limitare la loro autonomia.
- Parliamo di spazi in continuo divenire, fortemente eterogenei per funzioni, forme giuridiche e modelli di governance. Quali sono i principali elementi distintivi degli spazi ibridi aderenti alla Rete e in cosa differiscono da altri spazi culturali o aggregativi?
Sin dalla prima lettura del documento “Gli Spazi Ibridi di Milano”, partendo dalla constatazione della sempre più diffusa ibridazione tra attività, ci siamo chiesti: cosa differenzia questi spazi da un museo che organizza un concerto o da un locale che ospita la presentazione di un libro? Dove risiede l’interesse pubblico? E poi, per arrivare ad una qualche forma di riconoscimento occorre stabilire criteri per distinguere tra chi è dentro e chi no. Ha senso sforzarsi di definire ciò che per natura sfugge alle definizioni? Ne abbiamo discusso un bel po’ e alla fine ci siamo detti: la chiave non è nelle funzioni più o meno mescolate, ma nelle intenzioni di chi porta avanti queste intraprese. E, quindi, nel modo in cui gli spazi vengono messi a disposizione delle comunità locali.
Oggi per entrare nella Rete degli Spazi Ibridi non servono particolari requisiti, ma è necessario assumere degli impegni. Il primo è offrire occasioni di incontro e socializzazione non legate al consumo: chi aderisce alla Rete si impegna a consentire l’accesso allo spazio, o ad una porzione di esso, senza biglietti di ingresso o obbligo di consumazione; fatta salva, ovviamente, la possibilità di sostenersi organizzando eventi o iniziative a pagamento o di riservare alle attività economiche determinate aree o fasce orarie. Il secondo impegno è mettere a disposizione una o più aree polifunzionali per ospitare attività e progetti promossi da realtà del territorio. A queste condizioni la natura ibrida delle attività non è solo una scelta eclettica di programmazione artistica o culturale ma il risultato di una postura aperta e accogliente verso il contesto in cui si opera. Gli Spazi Ibridi – per citare Stefano Zamagni – sono esperienze di economia civile. La loro natura imprenditoriale non è un fine ma un mezzo.
- In un contesto economicamente polarizzato come quello milanese, in che modo questi Spazi possono collaborare con l’Amministrazione comunale nei processi di trasformazione urbana e nel promuovere una maggiore inclusione sociale?
Secondo una stima approssimativa ma abbastanza realistica negli Spazi Ibridi di Milano transita in media un milione di persone all’anno. Già questo rende la Rete un formidabile sistema di antenne attive nei quartieri, tanto più utile quanto più è varia la natura degli spazi e dei pubblici che li attraversano. Poi c’è il valore dei luoghi dove le persone possono incontrarsi e stare insieme senza necessariamente spendere dei soldi. Spazi del genere sono presenti in molte parti della città ma non in tutte. La scorsa estate, ad esempio, in un affollatissimo incontro dedicato all’area a sud di Porta Romana organizzato dal Municipio 5 e dal DAStU – Dipartimento di Studi Urbani del Politecnico di Milano, la maggior parte degli interventi del pubblico lamentava la mancanza di luoghi di aggregazione nella zona. Crediamo che un quartiere dove i residenti non si possono incontrare sia il più fragile da tutti i punti di vista, anche rispetto alla capacità di leggere e interpretare le trasformazioni in corso. La funzione più rilevante di queste esperienze, però, è legata ad una interpretazione più ampia del concetto di prossimità su cui stanno ragionando molte altre città d’Europa e del mondo. Non si tratta solo di dare accesso a servizi a breve distanza da casa ma di offrire spazi e strumenti per il protagonismo delle comunità. Prossimità vuol dire consentire alle persone – se vogliono e quando vogliono – di attivare dinamiche collettive per prendersi cura di sé stesse e del contesto in cui vivono. Proprio come è accaduto durante la pandemia. Ciò detto, il tema dell’inclusione sociale e dell’aumento delle disuguaglianze in città non si esaurisce certo con gli Spazi Ibridi. Parliamo di imprese, cooperative, associazioni che investono risorse ed energie in attività radicate nei luoghi, quindi non scalabili per definizione; che mantengono in piedi orgogliosamente e con fatica la propria autonomia e la propria indipendenza economica. Spazi del genere, anche quelli con una più marcata connotazione sociale, non costituiscono un’alternativa ai servizi per le fasce più fragili della popolazione, non tolgono nulla all’esigenza di trovare soluzioni per ridurre il divario tra i redditi e il costo della vita o per rendere effettivo il diritto alla casa. Gli Spazi Ibridi offrono un contributo importante alla città, e per questo vanno ascoltati e sostenuti, ma non è giusto gravarli di compiti che non gli spettano e che non potrebbero assolvere.
- Quali progettualità il Comune di Milano intende mettere in campo a supporto della Rete?
Da quando è stata istituita la Rete Spazi Ibridi è cresciuta per numero e varietà di iscritti ma ci sono molte potenzialità ancora inespresse. A partire dal 2024 si apre un’interessante finestra di opportunità. Grazie alle somme risparmiate nel precedente periodo di programmazione europea, abbiamo a disposizione un piccolo budget dedicato che vogliamo utilizzare per facilitare lo scambio di risorse materiali e immateriali tra i nodi, e tra questi e l’esterno. L’obiettivo è rispondere ai bisogni degli Spazi Ibridi valorizzando anzitutto le risorse, le competenze e le progettualità già presenti nella Rete; costruire una sistema nel quale gli spazi iscritti siano, nello stesso tempo, erogatori di servizi e beneficiari diretti. Per far questo, intendiamo avviare dei cantieri di coprogettazione utilizzando gli strumenti previsti dal Codice del Terzo Settore. Percorsi analoghi sono in corso per riorganizzare il sistema delle biblioteche comunali e i centri di ricreativi e aggregativi per i cittadini e per i giovani. Sono più di 100 spazi pubblici distribuiti in tutta la città che si stanno ripensando: una buona occasione per sperimentare quante più sinergie e integrazioni possibili. Il tutto sarà parte di una strategia più ampia dedicata all’economia di prossimità, ma di questo parleremo diffusamente nei prossimi mesi.
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