Le coste italiane con il loro mare sono uno spazio vitale. Costituiscono un palinsesto di strati fragili tra i più preziosi e più delicati al mondo. Sono la pelle della nostra penisola. Uno spazio democratico. Uno spazio di tutti e per tutti. Per questi semplici motivi devono essere oggetto di particolare attenzione.
Per governare lo spazio di costa servono progetti innovativi capaci di adattarsi a un futuro incerto. L’incertezza è dovuta ad almeno due motivi. Primo perché tutti i litoranei sono soggetti a trasformazioni che potremmo definire di natura esogena. Di fatto i cambiamenti del clima in atto mettono in serio pericolo vasti territori. Secondo perché gli arenili sono proprietà dello Stato: uno spazio costiero giuridicamente definito che comprende una porzione di mare.
Il demanio marittimo è un bene pubblico, un bene di tutti, dato in concessione a privati per svolgere delle attività economicamente produttive e mantenerlo.
Per governare le spiagge servono quindi regole certe, che oggi sono cambiate e sono in corso di revisione da parte del legislatore nazionale.
Come pianificare e gestire le spiagge e i territori di costa alla luce di queste considerazioni? Come salvaguardarne la sostenibilità ambientale in chiave ecologica? Come regolare gli interessi privati esistenti e futuri in regime di libera concorrenza? Quale equilibrio è possibile raggiungere?
Vi è l’urgenza di avviare ed eseguire in tempi rapidi, e attraverso modalità certe, un’operazione su scala nazionale per consolidare l’industria economica che dipende dal turismo balneare e mettere in sicurezza i territori a rischio. Ma come intervenire?
Un’ipotesi riguarderebbe il progetto della città contemporanea di costa nel suo complesso. Una città metromarina in cui vive un terzo della popolazione italiana – circa diciassette milioni di persone – dove una cospicua parte della popolazione straniera trascorre le vacanze molti mesi all’anno.
L’impatto economico del comparto turistico che interessa stagionalmente le spiagge italiane è di notevoli dimensioni e contribuisce in modo sostanziale alla ricchezza del nostro Paese. Solo per fornire alcuni dati: nel 2018 sono stati 70 milioni i turisti che hanno soggiornato nelle ventisei principali città balneari italiane (fonte ENIT). D’altra parte sono da considerare di estremo rilievo e destano preoccupazioni i fenomeni naturali in atto che riguardano direttamente la sorte di vaste parti del territorio costiero peninsulare. I progressivi processi di erosione interessano il 46% delle coste sabbiose (fonte Legambiente).
Questioni legate all’economia del comparto turistico che si basa sulla “risorsa spiaggia” si mischiano a questioni proprie dell’economia ambientale. Ciò che si prospetta è una nemesi.
A prima vista parrebbe esserci una divergenza tra interesse pubblico e interesse privato. Da un lato le coste intese come bene ambientale, con il loro statuto demaniale che ne specifica le caratteristiche di bene pubblico; e una probabile, oltre che inevitabile, riduzione della questione a forme di tassazione pubblica al massimo rialzo per regolare il mercato degli arenili, gestire esternalità e diseconomie implicite o che da esse conseguono direttamente.
D’altro lato vi è l’urgenza di dare risposte agli operatori di un settore economico tutt’altro che marginale per l’economia turistica italiana. Nel corso degli anni molti concessionari privati hanno investito ingenti risparmi, spesso hanno consolidato rendite di posizione pur consapevoli che i loro interessi erano fondati su programmazioni stagionali, su temporalità finite e su territori “fragili”.
Ora il legislatore italiano sta lavorando con una tempistica assai contratta per formulare norme e indirizzi che condizioneranno la gestione degli arenili demaniali.
Si potrebbe discutere quanto valgono le coste italiane o quanto siamo disposti a spendere per diventarne gestori.
Non si tratta certo di ipotizzare facili e ricchi ricavi da parte dello Stato italiano da quella che sarà una tassazione sui beni posizionali costituiti dalle spiagge e dal loro uso di tipo turistico; e nemmeno di suddividere una quota di valore che lo Stato si prefigge di incamerare per stabilire il prezzo delle concessioni.
Dinnanzi al bene costituito dal “sistema costiero” italiano, dove ambiti urbani consolidati si intersecano con litorali naturali, parrebbe necessario assumere alcune precauzioni che oggi gli strumenti di governo del territorio – piani paesistici regionali, piani delle coste e piani particolareggiati in primis – controllano solo in parte e spesso malamente.
Riconosce le spiagge come un bene scarso induce ad avviare una riflessione progettuale articolata, spessa e profonda in modo integrato tra saperi esperti di diverse discipline.
Pensare i territori costieri della penisola italiana come un’immensa metropoli marina lineare imporrebbe di disegnarne gli spazi di svago e ricreazione, di salvaguardia e sopravvivenza per tutte le popolazioni che la abitano. Uno scenario in cui lo spazio pubblico e la naturalità si compenetrano, strutturando ambiti di biodiversità qualitativamente elevati per ottenere un territorio fatto di luoghi dell’abitare, di natura e d’infrastrutture; dove le logiche di rendita possano essere ridefinite in funzione di un aumento delle prestazioni e delle qualità degli spazi dell’abitare.
Penso alle possibilità che potrebbero scaturire da un progetto virtuoso, sviluppato in funzione della conservazione dinamica e attiva dello spazio antropizzato e di quello naturale. Penso, a esempio, ad azioni di manutenzioni per assicurare la salvaguardia del bene costituito dalle coste nel lungo periodo, al fine di innescare strategie di ri-progettazione complessiva del rapporto tra la città e gli arenili. Ma non solo questo. Il progetto del bene “sistema costiero” della città metromarina dovrebbe individuare il suo valore primario in un progetto capace di ridefinire inedite gerarchie tra i diversi ambiti come capitale per stabilire nuove relazioni sociali.