18 Ottobre, 2024

Rapporti conflittuali nella triade partecipazione/ urbanistica/ populismo 

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Per comprendere il forte ruolo che nel mondo occidentale hanno oggi i crescenti populismi e le pressioni del mercato nell’indebolimento della democrazia, è molto utile leggere l’ultimo libro di Arato e Cohen. Gli autori spiegano, tra l’altro, che non può essere più ignorato quanto sia pervasiva la promessa di una partecipazione sempre più ampia della popolazione da parte di politiche populiste che si intrecciano con quelle neoliberiste. 

Oggi è quindi indispensabile porre una doppia attenzione sia alla frettolosa celebrazione di qualsiasi forma di partecipazione cittadina, sia all’automatica condanna delle procedure partecipative perché non è detto che esse debbano necessariamente essere al servizio del populismo politico-economico nella fabbrica del consenso. Allo stesso tempo, gli urbanisti sono sempre più coinvolti in trasformazioni urbane e territoriali decise in modi esclusivi dal potere politico di pubbliche amministrazioni sostenute e finanziate dal potere economico di investitori privati, senza il ricorso ad una vera democrazia partecipativa. 

Nella comunità degli urbanisti italiani, mentre Franco Mancuso ci ricorda ancora oggi la forza della libertà critica di Giancarlo De Carlo nel sostenere l’importanza della partecipazione, Alessandro Balducci precisa giustamente da trent’anni che i mestieri dell’urbanista sono molti e differenziati. Se Luigi Mazza considerava l’urbanista poco più di un mero esecutore delle volontà delle pubbliche amministrazioni, Bernardo Secchi credeva di più nel ruolo dell’urbanista come intellettuale capace di influire con le sue competenze nei processi decisionali. 

Ricordando questi insegnamenti oggi non si può fare a meno di osservare che nelle decisioni politico-economiche sulle rigenerazioni urbanistiche e territoriali, le competenze specifiche degli urbanisti – sugli impatti ambientali o su piani e progetti contestualizzati – sembrano quasi diventare secondarie. Dallo studio di recenti piani urbanistici e progetti urbani smaccatamente neoliberisti, sembra che gli urbanisti (e l’urbanistica) siano sempre più al servizio dei poteri della politica e del mercato. 

Seppur tenendo in considerazione le intenzioni di un assessore o di un investitore privato, a nostro avviso un urbanista oggi non dovrebbe assecondare pedissequamente le loro volontà, come invece spesso succede. Impiegando criticamente le proprie competenze, l’urbanista potrebbe non solo far comprendere agli amministratori le gravi conseguenze ambientali del continuo consumo di suolo, ma anche l’importanza di tenere maggiormente in considerazione le istanze e le aspettative degli abitanti nei processi di trasformazione/rigenerazione urbana e territoriale.

Forse una nuova ecourbanistica europea, maggiormente attenta alle relazioni tra abitanti e loro ambiente di vita, contestualizzata e partecipata, potrebbe avere un maggior peso nelle decisioni urbanistiche anche grazie ad una più forte libertà critica degli urbanisti dal potere dominante. Una ecourbanistica sostenuta da urbanisti intellettuali e universitari che con le loro competenze possono svolgere anche il ruolo determinante di intermediari tra le istanze della cittadinanza e la pubblica amministrazione. Una tale figura di urbanista “intellettuale pubblico”, come lo definirebbe Sabino Cassese, anche se esiste già, dovrebbe diventare indispensabile nei processi di una rinnovata deliberative democracy

Avanziamo quindi una possibile definizione di ecourbanistica come campo disciplinare che si occupa attraverso piani, politiche, progetti e confronti interdisciplinari, della rigenerazione urbana e territoriale sostenibile contestualizzata e nei cui processi decisionali negoziati tra diversi attori pubblici e privati, un ruolo indispensabile è svolto dalla democrazia partecipativa.

Gli urbanisti che si occupano di partecipazione precisano che servono modalità e procedure chiare e trasparenti, che essa deve essere contestualizzata e necessita di cittadini informati, consapevoli anche degli obiettivi delle associazioni di cui sono membri. Thomas Piketty ha autorevolmente più volte spiegato che la partecipazione della popolazione quando si associa in movimenti sociali organizzati è cruciale per tentare di cambiare lo status quo. Anche Gabriele Pasqui sostiene, da urbanista, che nei casi di attenta organizzazione della partecipazione in comitati e associazioni, le domande e le proteste dei cittadini, coesi da obiettivi comuni, riescono a rallentare o a impedire progetti urbanistici imposti dall’alto e non condivisi dalla maggioranza degli abitanti. 

All’interno di conflitti locali tra pubbliche amministrazioni e cittadinanza, il ruolo dell’associazionismo può quindi essere particolarmente incisivo e inclusivo, anche nell’influire nei processi decisionali urbanistici. Rilevanti sono gli esiti di alcune recenti ricerche guidate da Tito Boeri che mostrano che i membri appartenenti alle associazioni cittadine, uniti da obiettivi comuni, votano meno per amministratori e partiti populisti: fare parte di associazioni civili ridurrebbe la possibilità di votare populista del 20%. 

Queste associazioni di cittadinanza attiva potrebbero quindi avere la forza di interagire efficacemente non solo con il populismo autoritario che impone dall’alto progetti non condivisi, ma anche con il crescente populismo ecologico, usato sempre più spesso per persuadere la cittadinanza della giustezza di alcune trasformazioni/rigenerazioni urbanistiche o di certe politiche urbane e non di altre.

A titolo di esempio: un certo peso stanno avendo le forti critiche sollevate dalle associazioni ambientaliste sugli impatti gravissimi e irreversibili che avrebbe la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina non solo sull’ambiente marino, ma anche su quella parte di territorio messinese, interessata da dissesto idrogeologico e rischio frane. E forse può essere utile pensare anche al ticket d’ingresso sperimentato recentemente a Venezia che ha dato luogo a forti conflitti tra decisioni politiche pseudo-ambientaliste e continue proteste delle associazioni cittadine. 

A proposito dell’associazionismo, va però sottolineato che nell’Italia post-pandemia da Covid, sin dal 2020, diversi analisti hanno rilevato un importante calo della partecipazione fisica della popolazione in attività associative e la parallela crescita generalizzata di interazioni digitali. Gli incontri civici si svolgono sempre più nello spazio pubblico virtuale, nei gruppi-associazioni dei social network per lo scambio di notizie, idee e opinioni o per l’organizzazione di mobilitazioni cittadine. Se la rivoluzione digitale sembra scoraggiare rivoluzioni popolari negli spazi urbani, allo stesso tempo può permettere l’ascolto delle istanze dell’associazionismo digitale e di quelle voci normalmente escluse. 

Tuttavia, Luciano Floridi ci mette in guardia sull’uso dell’intelligenza artificiale nelle interazioni sociali dell’infosfera, sul rischio di manipolazione dei dati considerati rilevanti o su una distopica democrazia diretta online. Se il pericolo del sovranismo digitale populista non sembra essere ancora preoccupante, l’uso dei social network come strumento di comunicazione diretta tra politici-amministratori e cittadini-elettori è sempre più diffuso. 

L’utilità e validità per la democrazia partecipativa degli esiti dell’associazionismo digitale devono quindi essere ancora vagliati attentamente, mentre chi crede nell’associazionismo come “scuola di democrazia”, per usare ancora le parole di Alexis de Tocqueville, auspica una ripresa dell’associazionismo nello spazio fisico.

Per l’eco-urbanistica, una rinnovata democrazia partecipativa di cittadini riuniti in associazioni civiche, potrebbe quindi avere un forte ruolo nei processi decisionali. Il coinvolgimento anche della ricerca universitaria potrebbe essere rilevante sin dalla definizione collettiva dei problemi e per favorire procedure partecipative inclusive di informazione, consultazione e ascolto. 

Gli urbanisti universitari intellettuali coinvolti potrebbero anche incentivare la produzione di immagini progettuali contestualizzate condivise attribuendo loro un ruolo più considerevole nei processi decisionali negoziati. E potrebbero favorire, attraverso la co-progettazione, il dialogo tra cittadini, pubbliche amministrazioni e imprenditori, anche per contrastare la manipolazione politico-economica populista delle procedure partecipative, con competenza e libertà critica. 

Ulteriori approfondimenti

  • Arato A., Cohen J.L., Populismo e società civile. La sfida alla democrazia costituzionale, Meltemi, Roma, 2024.
  • Barattucci C., Zoning / Mixité. Alle radici dell’urbanistica italiana e francese, 1870-1945, Officina, Roma, 2013.
  • Barattucci C., “Ecourbanistica tra partecipazione e populismo: il caso degli ex gasometri a Venezia”, Atti della XXVI Conferenza SIU – Società Italiana degli Urbanisti – Napoli, giugno 2024, Planum Publisher e SIU, in press.

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