Nonostante il proliferare degli studi sulla povertà alimentare che ne hanno messo in evidenza il carattere multidimensionale in quanto fenomeno che interagisce non solo con gli aspetti materiali della nostra esperienza con il cibo, come la sufficiente quantità e qualità e adeguatezza nutrizionale, ma anche con quelli definiti immateriali, quali ad esempio il piacere, il benessere emotivo, le relazioni sociali, la cultura (ActionAid 2021; Actionaid 2022), prevale ancora l’idea di una risposta orientata al bisogno, le cui soluzioni strutturali passano dal modificare le condizioni materiali dell’esistenza legate al reddito e, più in generale, alle misure di protezione sociale.
Senza sottovalutare l’importanza di questi fattori, suggeriamo di adottare nuovi obiettivi di contrasto non più legati all’esigenza di evitare la condizione di bisogno, ma orientati al conseguimento del benessere alimentare. Con questo concetto, intendiamo la libertà (capacità) che hanno le persone di scegliere come costruire la propria relazione psicologica, fisica, emozionale e sociale con il cibo, sia a livello individuale che di società.
Cambiare le lenti con le quali analizziamo la povertà alimentare ha delle implicazioni sul concetto di innovazione sociale applicato alle pratiche di aiuto. La relazione tra innovazione sociale e povertà rimane ambigua e non tutte le iniziative che si occupano di povertà hanno la volontà o la capacità di incidere sui fattori strutturali che la producono (Ghys 2017).
Negli anni, i modelli di risposta alla povertà alimentare si sono progressivamente articolati, diffusi e consolidati. Da un lato, le politiche hanno cercato di dare una risposta contribuendo a rafforzare le reti di distribuzione e re-distribuzione alimentare e sostenendo gli acquisti delle famiglie in difficoltà (ad esempio, con i buoni spesa); dall’altro, la rete di attori territoriali del terzo settore – la spina dorsale del sistema di intervento sulla povertà alimentare nel nostro Paese – ha cercato di affiancare all’aiuto materiale altre risposte, nel tentativo di intervenire, sulle cause di questo bisogno (la povertà) e sulle molteplici dimensioni con cui il fenomeno si manifesta (esclusione, isolamento, stress, stigma).
In quasi tutte queste risposte, tuttavia, la distribuzione alimentare rimane il primo e spesso l’unico obiettivo dell’intervento. Anche laddove questa si configura come un mezzo per agganciare le famiglie in condizioni di necessità al fine di offrire un percorso di fuoriuscita, il benessere alimentare non rientra tra gli obiettivi strategici di tali progettualità (ActionAid 2022).
Analizzare o promuovere l’innovazione sociale nelle pratiche di aiuto alimentare senza considerare questi elementi rischia di consolidare l’idea che l’innovazione debba guardare al solo problema dell’accesso al cibo, senza indirizzarsi a tutte le altre dimensioni rilevanti del fenomeno. Ad esempio, i bisogni alimentari sono altra cosa dai bisogni sociali che si generano in relazione all’alimentazione. L’innovazione sociale dovrebbe riuscire a trovare soluzione a questi ultimi e non focalizzarsi esclusivamente sui primi, evitando di assumere in modo acritico una visione del fenomeno che finisce per legittimare le sue determinanti politiche e culturali prima ancora di quelle economiche.
In altri termini, l’innovazione sociale nelle pratiche di aiuto dovrebbe dotarsi di obiettivi più ampi e ambiziosi del solo, seppur importante e meritevole, conferire più cibo anche di qualità alle famiglie in difficoltà. L’intervento di risposta alla povertà alimentare indirizzato a un bisogno immediato dovrebbe essere il primo passo verso risposte alle varie dimensioni dell’esperienza alimentare, in primis quella sociale (Blake 2018).
In questo senso le comunità non rappresentano solamente un insieme di attori di filiera (ristoranti, supermercati, produttori, food bank) da riorganizzare, ma uno spazio di creazione di legami, connessioni e opportunità, in grado di promuovere il benessere alimentare delle persone. La mancanza di chiarezza sul problema e sulle sue caratteristiche finisce per condizionare l’intero sistema di risposta, dalle politiche alle pratiche, consolidando un’idea di innovazione limitata all’obiettivo dell’accesso ai beni e non del benessere alimentare.
Un esempio emblematico del rapporto ambiguo tra innovazione e povertà alimentare è quello relativo alla redistribuzione delle eccedenze per finalità sociali. Negli ultimi anni, grazie anche a un sistema di incentivi pubblici, è cresciuto sia il volume di impiego delle eccedenze diventando una filiera imprescindibile per il sistema di aiuti, sia le esperienze di innovazione costruite attorno a questo ambito. Aumentare la quantità e varietà dei prodotti conferiti agli enti di assistenza, attraverso la razionalizzazione del sistema, l’impiego di tecnologie e una migliore organizzazione degli attori di filiera, non è, a parere di chi scrive, sufficiente per configurare tali iniziative come innovazione sociale.
La distribuzione di cibo, da sola, non produce impatti significativi sulle determinanti della povertà alimentare, seppur possa, nel breve termine, alleviare la condizione di indigenza degli individui. Il fine dell’innovazione sociale dovrebbe essere non solo quello di migliorare la qualità e la quantità del cibo che arriva alle famiglie, ma far sì che il cibo stesso diventi un elemento capace di innescare nuove dinamiche sociali capaci di migliorare il lavoro di cura, ridurre il senso di isolamento e di esclusione sociale, creare prossimità, coesione e senso di appartenenza a una comunità.
Il discorso potrebbe essere esteso all’intero sistema di intervento, incluso il programma europeo di aiuti agli indigenti (FEAD), il quale mostra chiaramente che intervenire in modo più efficace sulla povertà alimentare necessita di un approccio di sistema (inteso nella sua dimensione sociale, ambientale, politica, economica e culturale) e non di filiera mirato esclusivamente agli attori interessati all’aiuto e alle sue dinamiche, rendendo certo più efficienti le risposte, ma senza che queste si integrino in un più ampio concetto di comunità resilienti.
È importante chiarire come il problema non sia il recupero e l’utilizzo dell’eccedenza in sé, che permette anche di veicolare importanti messaggi legati al tema dell’ambiente e del consumo sostenibile. Il punto è cosa, a partire dal recupero e utilizzo dell’eccedenza, si è in grado di costruire in termini di generazione di dinamiche che possano produrre impatti positivi sulla condizione di povertà alimentare delle persone.
Se l’eccedenza, quindi, è un fine e non un mezzo dell’aiuto alimentare allora lo stigma e l’accettabilità sociale da parte delle persone che ricevono tale aiuto rimarranno un problema irrisolto. Se invece, per fare un esempio, il recupero dell’eccedenza diventa occasione per impiegare famiglie in condizioni di vulnerabilità socio-economica e di povertà alimentare nella trasformazione di tale cibo in pasti consumati all’interno di spazi aperti a tutta la comunità, non soltanto delle persone in condizione di indigenza, allora quel cibo scartato dal mercato e recuperato produrrà un valore capace di migliorare le competenze alimentari, le relazioni sociali, ridurre il senso di isolamento e di stigma, concorrerà a veicolare un messaggio di sostenibilità sociale e ambientale (Blake 2020).
Il risultato è che mangeremo sempre cibo ricavato dalle eccedenze, ma la differenza, anche in termini di innovazione sociale, sta in cosa quel cibo rappresenta ed è in grado di generare in termini di benessere alimentare attraverso il rafforzamento delle capacità delle persone in condizione di vulnerabilità.
Ulteriori approfondimenti
ActionAid (2021). La fame non raccontata. La prima indagine multidimensionale sulla povertà alimentare in Italia e il Covid-19. Milano.
ActionAid (2022). Cresciuti troppo in fretta, Gli adolescenti e la povertà alimentare in Italia. Milano.
Ghys, T. (2017). Analysing social innovation through the lens of poverty reduction: five key factors. European Public & Social Innovation Review, 2(2), 1-14.
Blake, M. (2020). Releasing social value from surplus food Evaluation Final Report. FareShare-British Red Cross.